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ECOLOGIA

Ilva, continua il braccio di ferro sul corpo del reato

Nuovo no della Procura al dissequestro dei prodotti Ilva, che nel frattempo paventa la cassa integrazione per 8000 operai

Continua imperterrito il feroce braccio di ferro tra Ilva e la Procura di Taranto, la quale ieri ha rigettato l’istanza di dissequestro vincolato dei prodotti finiti e semilavorati presentata dai legali del colosso dell’acciaio, che speravano così di chiudere alcune commesse per poter

garantire almeno il pagamento degli stipendi.

E’ l’ennesima picconata al business Ilva, che come conseguenza all’ennesimo “no” di ieri sarebbe pronta a chiede la possibilità di accesso, per 8000 lavoratori, alla Cassa Integrazione Staordinaria (Cig).

Il futuro dell’Ilva si gioca tutto sul corpo del reato, quelle 1,7 milioni di tonnellate di merci ferme dal 26 novembre scorso: con il ricavato, l’azienda lo valuta in circa un miliardo di euro, l’azienda si era impegnata al pagamento degli stipendi e ai primi interventi previsti dall’Aia.

Ancora oggi ritengo sia una buona iniziativa l’istanza di dissequestro vincolato

ha affermato il ministro Corrado Clini, che ieri era a Taranto in riunione con le istituzioni locali e le parti sociali nel tentativo di salvare il salvabile; la nuova ipotesi formulata sarebbe quella di vincolare il dissequestro dei prodotti spostando l’istanza dei giudici su qualcosa d’altro: una sorta di deposito cauzionale che l’Ilva metterebbe a disposizione della magistratura, pur di ottenere indietro il corpo del reato e cercare di tirare avanti ottemperando ai primi obblighi previsti dall’Aia.

Noi abbiamo il dovere di applicare la legge e mi pare che la stiamo applicando. Di dissequestro non se ne parla. Stiamo studiando la nuova istanza dell’azienda

ha dichiarato il Procuratore generale della Corte d’Appello di Lecce Giuseppe Vignola.

E’ probabile che proprio sull’Aia si giochi tutta la partita: la Procura di Taranto non ha mai nascosto le forti perplessità sull’Autorizzazione ministeriale, facendo sempre presente che la soluzione migliore sarebbe quella che l’Ilva spegnesse tutto per cominciare le bonifiche e l’ammodernamento degli impianti, continuando comunque a garantire gli stipendi agli operai e all’indotto.

Dal canto suo, Ilva fa presente che senza la commercializzazione di quei prodotti sequestrati, e senza la possibilità di continuare a produrre, i soldi non ci sarebbero e Taranto verrebbe schiacciata dalla disoccupazione.

Il problema, in questo durissimo braccio di ferro, l’ha paventato Corrado Clini:

il Governo non ha un piano B se la Consulta dovesse accettare l’incostituzionalità della legge 231. Questa non è un’officina meccanica: la difesa del diritto alla salute e al lavoro è la priorità costituzionale che ha sempre orientato il Governo. Per questo sono a Taranto per le migliaia di lavoratori pugliesi, liguri, lombardi, del Piemonte del ciclo della siderurgia italiana che non possono essere lasciati in una situazione di incertezza. Prima del confronto con i sindacati, avverrà un nuovo confronto tra Ilva e Governo. Vogliamo vedere, fermo restando il sequestro delle merci, quali spazi ha l’Ilva per riprendere la produzione con gli impianti dell’area a freddo.

Il chiaro obiettivo del Governo sembra essere dunque quello di restituire un po’ di ossigeno a Ilva: una posizione garantista che molti però definiscono “di comodo”; lo ha dichiarato apertamente il ministro Clini ieri mattina:

il Governo vuole che lo stabilimento continui a produrre. Risanamento degli impianti e produzione devono marciare insieme. Il mercato internazionale dell’acciaio non aspetta la Corte costituzionale italiana: se Ilva si ferma ed esce dal mercato non ci sarà risanamento degli impianti

Se pensiamo che il 75% del Pil della Provincia di Taranto (l’8% su scala regionale) proviene dall’Ilva, che da lavoro a 20mila persone in totale (50mila con le interdipendenze), e che dovrà sostenere 3,5 miliardi di euro di costi per il risanamento e le bonifiche, numeri alla mano è piuttosto evidente l’importanza di commercializzare quel miliardo di euro di merci sotto sequestro. La salute però non è pura aritmetica e il cane tarantino continuerà a mordersi la coda all’infinito, è il timore di molti, fino a quando una delle due parti (Ilva o Procura) non cederà alla sconfitta.

Nel frattempo i concorrenti europei del colosso dell’acciaio italiano aspettano di veder passare il cadavere dell’Ilva: 5 milioni di tonnellate l’anno di acciaio fanno gola a chiunque, anche e sopratutto per uscire dalla sovracapacità produttiva che, come nel mercato auto, rappresenta un cancro per il settore industriale.

Via | Ansa

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