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India: proibito uccidere tigri. Sarà l’effetto Vita di Pi?

L’Autorità indiana per la tutela delle tigri emana un nuovo regolamento anti-bracconaggio: 59 le tigri uccise lo scorso anno

Secondo il Times of India, per fronteggiare l’enorme problema del bracconaggio delle tigri il governo di Nuova Delhi ha varato un pacchetto di norme che proibisce la caccia alla tigre in tutto il grande paese asiatico.

Solo lo scorso anno sono state 88 le tigri uccise in India, di cui ben 59 per mano dei bracconieri; negli ultimi tre anni, secondo le statistiche rese note al Senato indiano dal ministro Jayanthi Natarajan, sono 197 le tigri uccise dalla mano dell’uomo: una cifra insostenibile in un paese in cui, secondo un censimento del 2010, tali animali sarebbero solo 1706 distribuiti nelle 42 riserve del ‘Progetto Tigre’, un programma governativo per la tutela di questi grandi felini all’interno di aree protette.

L’Autorità Nazionale per la Tutela delle Tigri ha dunque emanato un nuovo regolamento fortemente repressivo nei confronti di chi si macchia di questo delitto

anche se le tigri stesse hanno ucciso degli essere umani.

Secondo il nuovo regolamento dunque, anche nel caso in cui fosse la tigre ad allontanarsi dalla zona protetta questa non può essere abbattuta; l’Autorità Nazionale ha emanato alcune linee guida su come comportarsi in queste eventualità:

Se uno di questi felini dovesse allontanarsi dalla riserva, deve essere catturato, immobilizzato con sonniferi e riportato nel loro habitat. Ma non deve in alcun caso essere ucciso. L’unica eventualità in cui è permesso l’abbattimento è nel caso in cui l’animale si nutra abitualmente di umani nonostante la presenza di prede naturali: in caso di antropofagia la tigre può essere abbattuta.

Nel caso di una tigre ‘mangiatrice di uomini’ (che sembra più uscito da un romanzo che non dal mondo reale) l’uccisione comunque è prevista solo dopo il rilascio di uno speciale permesso da parte delle autorità forestali indiane e solo ‘tramite un’arma adeguata’, il tutto senza prevedere alcuna ricompensa.

Lo scorso anno, i 59 casi di bracconaggio hanno fatto scandalo in India: il più alto numero di tigri abbattute dai bracconieri si è registrato in Madhya Pradesh (nel centro dell’India) e Karnataka (una regione sud-occidentale) con 10 esemplari uccisi.

Sarà stato forse l’effetto del grande successo di pubblico del kolossal Vita di Pi di Ang Lee, che in India ha incassato cifre spropositate e che alla notte degli Oscar si è portato a casa ben quattro statuette (miglior regia, miglior fotografia, migliori effetti speciali e miglior colonna sonora), ad aver scatenato questa nuova iper-sensibilità indiana nei confronti delle tigri del bengala? Chi può dirlo.

Le tigri del Bengala sono oggi una specie fortemente a rischio estinzione: la minaccia del bracconaggio, della crescente urbanizzazione di un Paese, l’India, che vede uno sviluppo fortissimo negli ultimi anni (tanto da essere inserito nei cosiddetti BRICS) e che vede un impatto sempre più considerevole anche del turismo nelle aree protette, sono i tre fattori principali che mettono a rischio la sopravvivenza di questa specie animale. Secondo il Wwf, che collabora nelle 23 riserve con il governo indiano per la tutela della tigre,

le ossa e altre parti del corpo della tigre sono usate dalla medicina tradizionale cinese e vendute come tonificanti o cure per le artriti e i reumatismi. Alcune parti della tigre vengono inoltre usate per la pratica dello “jinbu” che, si crede, possa trasmettere a chi le assume le qualità dell’animale mangiato.

In un mercato, quello asiatico, fatto da più di 2 miliardi di persone, la maggior parte delle quali è ancora molto legata alla medicina tradizionale, è evidente che la caccia alla tigre in se, il bracconaggio in particolare, rappresenta un forte elemento di criticità per la sopravvivenza della specie.

Via | Times of India
Foto | Flickr

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