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Shell sospende le trivellazioni artiche nel mare di Beaufort

In seguito al grave incidente alla piattaforma Kulluk, Shell ha deciso di sospendere per il 2013 le operazioni di trivellazione nell’artico. La decisione è stata salutata con gioia dagli ambientalisti.

La buona notizia è che Shell ha deciso di sospendere per tutto il 2013 le attività di trivellazione nel mare di Beaufort e nel mare di Chukci, lungo la costa nord dell’Alaska.

La decisione giunge in seguito al grave incidente che ha coinvolto la piattaforma di trivellazione Kulluk nel gennaio scorso, arenatasi sulle coste nei pressi del parco nazionale di Kodiak.

Anche se Shell non ha rinunciato ai suoi progetti di ricerca del petrolio nell’Artico, questa decisione solleva ulteriori dubbi sul futuro delle trivellazioni ad elevate latitudini, tenuto conto delle enormi difficoltà tecniche e degli elevati costi sostenuti dalla multinazionale, cinque miliardi di dollari per assicurarsi i permessi per due prospezioni.

Il disastro sfiorato con l’arenarsi della Kulluk è giunto al termine di una stagione 2012 particolarmente negativa per le attività di Shell. Lo scorso settembre, pochi giorni dopo aver ricevuto il permesso di trivellare nel mar di Chukci, la multinazionale dovette rinunciare per evitare la collisione con un enorme iceberg di 20×50 km. Successivamente il sistema di contenimento delle perdite accidentali di petrolio mostro un serio malfunzionamento. L’altra piattaforma usata da Shell, la Noble Discoverer, è sotto indagine da parte della Guardia Costiera per l’insufficienza dei sistemi di sicurezza e di controllo dell’inquinamento.

La decisione è stata salutata con favore dai gruppi ambientalisti come unica possibile conclusione di una stagione di fallimenti tecnici e di violazioni delle norme ambientali e di sicurezza. «Shell ha chiaramente dimostrato di non essere preparata a condurre operazioni sicure e responsabile nelle acque ghiacciate dell’artico» ha dichiarato Andrew Hartsig, della ong Ocean Conservancy.

Cercare il petrolio nell’artico non è come cercarlo sotto casa: enormi difficoltà tecniche, condizioni operative difficili per le onde,  gli iceberg e le bassissime temperature, rischi per la sicurezza e per l’ambiente fanno sì che ogni barile di petrolio artico in realtà costi assai di più e quindi valga assai meno di un barile di petrolio  del Texas. Anche questo è il peak oil.

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