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Hugo Chavez, come cambia il mercato del petrolio con la morte del Caudillo del Venezuela

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La morte del Presidente venezuelano Hugo Chavez cambierà sensibilmente gli scenari petroliferi internazionali: il Venezuela, secondo la multinazionale British Petroleum (BP), è infatti il detentore della riserva petrolifera più grande del mondo, con 296,5 milioni di barili.

Un tesoro sotterraneo, quello dello stato sudamericano, che surclassa anche quello dell’Arabia Saudita (calcolato in 265,4 milioni di barili) che mette il Venezuela in una posizione delicatissima sul piano internazionale, dopo 20 anni di chavismo dall’impronta fortemente statalista e solidarista nei confronti dell’amica Cuba.

Per anni infatti Chavez ha garantito all’isola caraibica petrolio a prezzi stracciati, per non dire a titolo gratuito: petrolio in cambio di menti (medici ed insegnanti), un sistema di solidarietà socialista che ha permesso a Cuba, a singhiozzo, di tirare avanti fino ad oggi sotto il profilo energetico (nonostante spesso, chi è stato a Cuba lo sa, la corrente può mancare anche per ore, anche a L’Avana).

Il commercio del petrolio rappresenta il 95% delle esportazioni venezuelane: è evidente dai numeri che il successore di Chavez, Maduro, non avrà un futuro facile sotto questo profilo. Il petrolio in Venezuela è alla base dello sviluppo economico, dell’economia domestica, la spina dorsale economica di un paese che con Hugo Chavez ha operato una scelta precisa: l’antimperialismo petrolifero.

E’ evidente che tali risorse fossili non possono non fare gola alle grandi multinazionali: oggi il petrolio venezuelano è gestito dalla società pubblica PDVSA, un ente creato nel 1975, che piazza sul mercato i barili di petrolio bolivariani ad un prezzo decisamente vantaggioso rispetto alla media Opec. Questo è stato possibile, fino ad oggi, grazie alla forte svalutazione del Bolivar venezuelano (dal 42 al 46%), che ha permesso a PDVSA di esportare petrolio in misura maggiore rispetto ai suoi standard: in media un barile di petrolio venezuelano costa circa 7 dollari in meno rispetto ai prezzi dei paesi Opec.

E’ evidente che un mercato così florido e attraente verrà messo sotto le mire degli squali petroliferi mondiali: non a caso Rosneft (il colosso petrolifero russo) sarebbe disposto ad offrire 800 milioni di euro per lo sfruttamento dei giacimenti nel sud-est del Venezuela, ma è chiaro che la morte di Chavez apre anche ai colossi britannici, olandesi, inglesi, americani e, perchè no, italiani.

Una situazione non facile da gestire per Maduro: la svalutazione di cui sopra, che ha permesso un abbassamento del prezzo del greggio al barile, ha tuttavia complicato la vita di quel popolo che ha adorato come un dio il Caudillo Hugo Chavez: l’alzarsi dei prezzi dei beni di prima necessità nè è solo uno degli aspetti socialmente più critici.

E’ ovvio che è nell’interesse dei petrolieri abbassare il prezzo del petrolio, aumentato negli anni anche per ‘colpa’ delle politiche energetiche del governo Chavez: tra il 1999 e il 2011 il Venezuela ha incassato oltre 300 milioni di dollari di profitti in petrolio e derivati, ottenendo un aumento del prezzo internazionale del petrolio e ‘vincendo’, sotto certi punti di vista, la sua battaglia contro l’imperialismo statunitense: nel 1999 il prezzo al barile era 10 volte inferiore ad oggi.

La strategia petrolifera del chavismo è stata la chiave della rivoluzione bolivariana, fatta a petrolio e solidarietà: quella fratellanza tra i paesi sudamericani Chavez l’ha cementificata grazie ad una sorta di ricatto sorridente, nei confronti di Cuba e della Bolivia, per certi versi incastrati nella rivoluzione bolivariana chavista, dalla quale è dipeso il sostentamento energetico dei due alleati di Chavez negli ultimi anni, e per i quali si prospetta oggi un periodo di buio.

E’ forse collegabile con la malattia di Hugo Chavez l’apertura di Cuba ai viaggi dei cittadini cubani all’estero (la blogger Yoani Sanchez era a Bruxelles questa mattina, per la prima volta)? Forse si, se la guardiamo nell’ottica di un paese, Cuba, che deve ora necessariamente aprirsi al mondo per non capitolare nel buio delle notti caraibiche.

Il chavismo petrolifero non ha visto il suo sbocco: il Caudillo stesso aveva annunciato un incremento della produzione di greggio, per arrivare a 6 milioni di barili al giorno, anche a fronte della Statistical Review of World Energy 2012, pubblicata da BP.

Nonostante ciò, il Venezuela produce la sua energia elettrica al 70% grazie al fiume Caronì, nella Guyana: la siccità degli ultimi anni ha tuttavia complicato il panorama energetico nazionale, spingendo Chavez tra le braccia dell’atomo russo: Mosca dovrà costruire la prima centrale nucleare venezuelana.

Lo scorso anno il chavismo ha visto la sua svolta verde: i progetti eolici del Parque Eólico de Paraguaná e del Parque Eólico de la Guajira sono stati approvati dal Caudillo nel 2012, prima della ricaduta nella grave malattia: in totale produrranno 176,4 MW di energia per i venezuelani. Altrettanto, il progetto Sembrando Luz mira all’installazione di pannelli fotovoltaici in tutto il paese, per portare energia elettrica anche nelle zone piu disagiate.

Per anni in Venezuela il petrolio ha finanziato il sociale: la morte di Chavez cambierà sensibilmente l’approccio della rivoluzione bolivariana al mondo (come in parte è avvenuto durante la malattia), anche perchè qui parliamo di fonti fossili non rinnovabili contro diritti umani: cibo ed energia cominciano a costare troppo in un paese che da vent’anni punta alla ‘Rinascita’.

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