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Acqua

22 marzo: Giornata internazionale dell’acqua, bene comune sempre più a rischio

Come ogni anno anche il 22 marzo del 2013 sarà la Giornata internazionale dell’acqua: istituita dalle Nazioni Unite nel lontano 1992, l’evento si prefigura un nobile obiettivo: rieducare l’uomo all’acqua.

In particolare quest’anno 2013, Anno mondiale della cooperazione idrica il 22 marzo assurge ad essere una ricorrenza di doppia importanza, in un Pianeta sprecone, inquinatore, irrispettoso e avvelenatore delle sue risorse idriche, fondamentali per la sopravvivenza di tutti gli esseri viventi:

l’acqua è essenziale per lo sviluppo sostenibile, la salvaguardia dell’ambiente e l’eliminazione della povertà e della fame, è indispensabile per la salute ed il benessere degli uomini e riveste una importanza cruciale per la realizzazione degli obiettivi del Millennio.

Queste le parole contenute nella risoluzione firmata al Forum mondiale sull’acqua nell’anno 2009, che parla di obiettivi nobili: ridurre lo spreco idrico e raddoppiare entro il 2015 il numero di popolazione mondiale, rispetto al dato del 1990, con accesso diretto alle fonti di acqua potabile ed agli impianti igienici di base.

In futuro, dicono innumerevoli studi, la competizione sulle risorse idriche è destinata ad aumentare inesorabilmente: l’elevata evapo-traspirazione, il carico inquinante dei settori industriale, civile e agricolo, tutti fattori che hanno un’incidenza enorme sulle risorse idriche, aggravata da impianti normativi (come ad esempio quello italiano) che altro non fanno che ostacolare la realizzazione degli investimenti nel settore.

Un esempio lampante è il clamoroso caso dell’acqua all’arsenico: le innumerevoli proroghe ai limiti di arsenico nelle acque imposti dalle normative europee hanno infatti avuto come unica conseguenza le istanze di non potabilità dell’acqua nei comuni dell’alto Lazio.

Senza investimenti l’acqua marcisce e l’uomo muore. Il caso italiano è piuttosto emblematico in tal senso e può assurgere al ruolo di esempio internazionale su cosa non fare, nel ramo idrico: nel rapporto 2013 sulle performance ambientali dell’Ocse l’Italia non offre il meglio di sè.

Il sistema idrico italiano mostra annose problematiche in particolare negli strumenti di programmazione e regolazione del settore: la governance complessa e multi-livello, con decine e decine di enti diversi che condividono competenze sovrapposte, rende estremamente difficoltoso amministrare i servizi idrici garantendo un servizio minimo all’utente (che poi è il cittadino); la mancata riforma dei bacini idrografici infatti consegna allo stato d’emergenza la soluzione delle problematiche più complesse ed urgenti (come l’arsenico nelle acque), mantenendo inalterato il quadro normativo complesso e lacunoso e non preparando alcun impianto legislativo per la prossima emergenza.

I conflitti d’interesse rappresentano anch’essi una parte del problema: quando un rappresentante politico locale entra nella gestione di un AATO o di un ente idrico infatti il risultato che sino ad oggi si è ottenuto, secondo il rapporto Ocse, è solo il mantenimento di rapporti fiduciari e subalterni tra la politica e i gestori dei servizi.

L’acqua è quell’elemento con cui ci laviamo, con cui laviamo i nostri alimenti, con cui garantiamo a noi stessi la possibilità di bere e mantenerci in vita: l’acqua, come il cibo e l’aria, è l’unico elemento che dall’esterno introduciamo volontariamente nel nostro corpo. Questo dovrebbe dare la misura di quanto sia importante avere un sistema idrico che funziona, che garantisce all’utente standard minimi di qualità e che, nell’ottica di una responsabilità civile dei servizi, permetta di individuare eventuali responsabili di illeciti.

In tal senso il rapporto Ocse trova un problema del referendum dello scorso anno:

I referendum popolari sui servizi idrici del 2011 hanno creato un ulteriore clima di incertezza e hanno ridotto notevolmente il ruolo del settore privato. […] L’erogazione dei servizi idrici in Italia è più scadente che in molti altri paesi OCSE; oltre un terzo dei corpi idrici di superficie e l’11% dei corpi idrici sotterranei non raggiungeranno gli obiettivi di stato ecologico fissati dalla Direttiva Quadro sulle Acque dell’UE (DQA per il 2015)

Questo perchè gli investimenti sono bloccati e dal Patto di stabilità e dalla crisi economica: la distribuzione dei dividendi sugli utili fatta ai dirigenti, senza reinvestire nell’ente per ripianare eventuali perdite o, meglio ancora, per innovare e migliorare i servizi idrici, è il simbolo di come la macchina tricolore dell’acqua non funzioni. E, forse, un motivo lo troviamo anche in quel referendum: la gestione di un “bene comune” come è l’acqua non può continuare ad essere affidata a questo Pubblico, inefficiente.

Ma da qui a privatizzare, ce ne passa: l’Ocse suggerisce una razionalizzazione degli accordi istituzionali sui bacini idrografici, la partecipazione degli stakeholder nei processi decisionali e un’opera di responsabilizzazione delle amministrazioni pubbliche: la partecipazione dei capitali privati è la leva per migliorare il servizio ed investire sulla rete idrica.

Investimenti, va da se, non più prorogabili quanto la metà dell’acqua viene dispersa nel nulla. L’aumento della popolazione mondiale, costante trend di crescita, e gli obiettivi minimi del 2015 impongono un differente approccio al problema: insomma, il 22 marzo, Giornata internazionale dell’acqua, deve assumere un significato particolare in Italia.

Via | Nazioni Unite

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