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L’Ilva chiede il dissequestro dell’acciaio o 27 milioni di dollari di danni

Nella terza istanza presentata da Bruno Ferrante l’azienda siderurgica Ilva di Taranto chiede, nuovamente, che la procura di Taranto dissequestri l’acciaio sigillato a novembre sulle banchine del porto: 5 maggio il termine ultimo.

Non tende a placarsi la battaglia a colpi di carte bollate tra il colosso Ilva e la procura di Taranto: per la terza volta da novembre infatti Ilva chiede che gli sia permesso di vendere l’acciaio sequestrato dal gip Patrizia Todisco lo scorso novembre, e che sta gravando sul bilancio economico dell’azienda, acciaio che la procura ha definito

corpo del reato.

In caso contrario Ilva ha fatto sapere che chiederà i danni allo Stato.

C’è tempo fino al 5 maggio prossimo per decidere: i 27 milioni di dollari che Ilva paventa di chiedere come risarcimento danni però pesano come sull’intera vicenda, già messa profondamente in crisi dallo scontro apertissimo tra Ilva, Governo e magistratura.

Ilva si appella al fatto che, il 9 aprile scorso, la Consulta ha rigettato i ricorsi del Tribunale di Taranto dichiarando la legge 231 del 2012 (decreto salva-Ilva) costituzionale: una sconfitta per il gip Todisco, amatissima a Taranto e ormai baluardo delle battaglie ambientali e sanitarie del popolo di Tamburi, ma un respiro di sollievo per Ilva, che tuttavia si trova ancora incastrata nei lacci della burocrazia.

Lacci che vanno stringendosi ed allargandosi a seconda di chi sia il sarto che li tesse: è necessario che gli atti tornino nel Palazzo di Giustizia di Taranto e solo allora i magistrati potranno riattivare il procedimento e decidere sulla richiesta di dissequestro, come confermato mercoledì mattina dai giudici di Corte d’Appello.

In questo senso dunque parlare di “minaccia” è un po’ pretestuoso: dal 9 aprile ad oggi sono passate due settimane e Ilva rischia di perdere la commessa ottenuta nel contratto firmato con la società irachena Oil Projects Company (Scop), accordo che prevede per l’acquirente la possibilità di risoluzione se le merci non saranno spedite entro il 5 maggio.

Il dissequestro che Ilva continua a chiedere, e la procura continua a negare (o meglio, a complicare), accusa il colosso siderurgico, sembrerebbe l’unico modo per fare cassa e garantire bonifiche, stipendi, messa a norma degli impianti. Almeno, secondo quanto sostiene Ilva.

Via | Ansa

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