Seguici su

Energia

Effetti dei rigassificatori sull’ecosistema marino

Molte volte si è parlato di rigassificatori, chi li vuole, chi no, chi li vuole ma non a casa sua, ecco che si crea il fenomeno N.I.M.B.Y., ovvero Not In My Back Yeard (non nel mio giardino).
Ma allora dove costruirli, visto che sono previsti 10 nuovi progetti di impianti? Per il progetto di Livorno hanno ben pensato di risolvere la questione costruendo l’impianto off-shore cioè in mare aperto, su di una piattaforma galleggiante.

Ma il mare non è una “pattumiera” e gli scarichi, perlopiù rilascio di acqua fredda, movimentazione dei fondali per la posa in opera ed esercizio dell’impianto incluse le misure di compensazione, posso creare enormi danni all’ambiente marino, a medio e lungo termine, tant’è che l’ ICRAM (Istituto Centrale per la Ricerca scientifica e tecnologica Applicata al Mare) ne è molto preoccupato. Oltre ad eventuali pericoli da potenziali esplosioni.

Un rigassificatore, sostanzialmente altro non fa che riportare un gas dallo stato fluido a quello aereiforme, per poterlo distribuire attraverso gasdotti: la trasformazione in liquido avviene con l’abbassamento della temperatura per ottimizzarne il trasporto in navi cisterne, ma il processo inverso compiuto dal rigassificatore richiede un controllo di temperatura operato con un circuito di regolazione che funziona ad acqua di mare.
Peccato però che il rilascio di acqua fredda a una temperatura di 5-7 gradi inferiore a quella del mare crea enormi danni alle biocenosi che vi abitano, dal microplancton a tutto l’ecosistema marino interessato.

L’acqua fredda, che tende ad affondare, potrebbe non miscelarsi così rapidamente come si è pensato nella valutazione di impatto ambientale, ciò porterebbe ad un’alterazione delle caratteristiche chimico-fisiche dall’ambiente quindi a una graduale scomparsa degli organismi.

Pensiamo alla Posidonia oceanica, è una pianta stenoterma, cioè non sopporta variazioni anche minime di temperatura, quindi gli scarichi dell’impianto la distruggerebbero direttamente; oppure la delicata fase di reclutamento degli stock ittici (cioè lo sviluppo delle larve e la fecondazione stessa dei pesci di interesse commerciale) rischierebbe di venire seriamente danneggiata con relativi danni all’economia costiera.

A tutti questi danni, si aggiungono anche problemi di altra natura: i ricercatori dell’ICRAM, e Greenpeace stessa che si è interessata al problema del rigassificatore di Livorno, sono preoccupati anche per lo scarico di ipoclorito di sodio, usato in quantità incognite per il mantenimento degli scambiatori del circuito ad acqua di mare, che può avere ripercussioni ben più disastrose dell’acqua raffreddata a causa della reazione chimica che produrrebbe organoclorurati e altre sostanze altamente inquinanti.

Ultimo ma non meno importante è il problema delle emissioni sonore, dato che il rumore che potrebbe prodursi dagli impianti disturberebbe i cetacei e tutta la fauna ittica, tenendo presente che la costa labronica è all’interno del santuario dei cetacei.

Insomma, la questione è più complicata di quanto si voglia far sembrare, e sarà il caso di valutare, stavolta in modo serio, se vale davvero la pena mettere a rischio quel tratto di costa per alleviare i problemi energetici del paese.

[Francesca Pratali]

Ultime novità