Energia
Titolo V della Costituzione, cosa cambia nel settore energetico
Si tenta di risolvere in questo modo i numerosi conflitti di competenze tra Stato e Regioni in materia di energia

Definire “cambiamento” la riforma del titolo V della Costituzione Italiana è un po’ gattopardiano: stanotte infatti il governo ha approvato, in materia di federalismo, la bozza di riforma del Titolo V riportando allo Stato alcune competenze che erano state demandate alle Regioni.
Un passo del gambero, più che una riforma, un cambiar tutto affinchè nulla cambi o, per esser più espliciti, un ritorno al passato per fare ordine nel caos; le competenze che tornano allo Stato le ha spiegate ieri il premier Monti:
porti marittimi e aeroporti civili, di interesse nazionale e internazionale, grandi reti di trasporto e di navigazione; ordinamento della comunicazione; produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia.
La riconfigurazione delle competenze esclusive dello Stato in materia di porti, aeroporti ed energia è stata così motivata:
Sono tutte materie attribuite attualmente alla legislazione concorrente, ma di cui appare più congruo, anche per l’incidenza di normative europee, l’affidamento esclusivo allo Stato.
La scelta di riformare il titolo V della Carta, visti i tagli agli enti locali, il controllo superficiale sino ad oggi operato dallo Stato sulle Regioni a statuto speciale, alleggerire il carico di lavoro alla Corte Costituzionale sui conflitti di attribuzione e, non ultimo, fornire servizi più efficaci sotto lo stretto controllo centrale di Roma.
Sul senso politico di “regressione” dal federalismo si scriveranno pagine e pagine, così come sull’effettiva fattibilità di questa riforma (che essendo Costituzionale prevede un iter decisamente più complesso); il capogruppo Pdl in Commissione Attività Produttive alla Camera Stefano Saglia ha dichiarato:
Non entro nel merito dell’intera riforma del Titolo V della Costituzione e comprendo il disappunto delle Regioni. Però riportare l’energia nell’esclusiva competenza dello Stato è una cosa opportuna e sacrosanta.
Diametralmente opposto il parere della Lega, ma anche del Presidente della Conferenza delle Regioni Vasco Errani (Pd) che auspica un ripensamento.
Se gli obiettivi generali di politica energetica del Paese sono oggi perseguiti dallo Stato e regolati al dettaglio dalle Regioni, accade che molte delle funzioni amministrative, come quelle relative alla “utilizzazione del pubblico demanio marittimo e di zone del mare territoriale per finalità di approvvigionamento di fonti di energia”, quelle concernenti l’esercizio delle attività di trasmissione e di dispacciamento nazionale dell’energia elettrica siano riservate allo Stato.
Nel migliore dei casi dunque lo Stato deve conseguire una previa intesa con le Regioni interessante, la Conferenza delle Regioni, Regioni e Province autonome, Conferenza unificata, etc.: un iter decisamente macchinoso e complesso che la riforma del Titolo V potrebbe risolvere e semplificare.
Si tornerà quindi a parlare di “politica energetica nazionale”, un principio tornato in auge dopo il referendum dello scorso anno sul nucleare: “l’abrogata opzione” nucleare ha aperto profili di notevole interesse in materia di produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia.
Non ultimo, l’art. 117 della Costituzione attribuisce allo Stato le competenze in materia energetica: non venne modificato all’approvazione del federalismo e successivamente numerose sentenze della Corte Costituzionale hanno mostrato che l’unica via era tornare indietro da quel federalismo all’amatriciana che ha creato più conflitti di attribuzione che semplificazioni.
Riuscirà il governo tecnico a riformare il Titolo V della Carta restituendo le competenze energetiche allo Stato? Su questo si possono aprire scommesse dall’esito più che incerto.
Via | Governo.it
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