Lavoro
Capoguardia in un parco: burocrazia e natura

Danilo Vassura coordina il lavoro dei guardiaparco dei Parchi del Lago Maggiore, dove ho lavorato anche io. L’ho intervistato per fargli raccontare che cosa fanno le persone come lui, che hanno deciso di vivere al servizio dell’ambiente in un Ente Parco.
Danilo, ci puoi spiegare che lavoro fai?
Io sono un guardiaparco della Regione Piemonte e lavoro in un ente strumentale della Regione che gestisce quattro aree protette, piuttosto piccole, lungo la sponda del Lago Maggiore. Sono guardiaparco da quasi 17 anni e da 6 sono responsabile del settore di vigilanza del mio ente, dove dovrebbero esserci altre 5 guardie, che attualmente sono 3, più 1 al 50%, più 1 al 50% per un anno.
Traduco per i lettori: siete sotto organico e cercate di fare in pochi tutto ciò che andrebbe fatto in più persone. Ma che cosa fa un guardiaparco, in pratica?
Il guardiaparco è una figura eterogenea: non solo diversa tra stato e stato, ma anche tra regione e regione (per esempio in Toscana sono inquadrati come “Polizia locale”, da noi no), all’interno della stessa regione (al Fenera c’è un guardiaparco con patente di inanellatore cui non è consentito di inanellare in servizio, da noi Daniele inanella per quasi il 50% del suo tempo su base annua) e oserei dire all’interno dello stesso parco!
Per semplificare, i guardiaparco regionali del Piemonte (ma in questo credo più o meno in tutto il mondo) si occupano di tre ambiti di questioni:
- la vigilanza: garantire il rispetto, anche in forma preventiva, delle norme specifiche e generali nelle aree protette nelle materie di competenza. E’ un’attività di Polizia amministrativa, ma anche, spesso, di Polizia Giudiziaria (in Piemonte solo i guardiaparco a tempo det. non dovrebbero fare P.G.). Riguarda non solo leggi su caccia, pesca, boschi ma anche urbanistica, rifiuti, inquinamenti e in genere qualsiasi tema abbia effetto diretto o indiretto sull’ambiente protetto.
- le attività naturalistiche: di supporto ai tecnici dei Parchi o incaricati da loro o da altri (università, INFS, IPLA nel nostro caso, ecc.), oppure di iniziativa propria, nel caso ne abbiano le competenze. Si tratta di censimenti faunistici o botanici, predisposizione e/o attuazione di piani di abbattimento, valutazioni di condizioni ecologiche, ricerche di vario genere (dalla geologia, all’idrologia, alla biologia, alla chimica, ecc.). Normalmente tutti garantiscono almeno un monitoraggio delle condizioni ecologiche diverse (componente faunistica e vegetale) dei propri parchi.
- le attività promozionali e culturali: educazione ambientale, attività con le scuole, divulgazione per adulti, contributo alla preparazione di opuscoli, pubblicazioni varie, bacheche, notiziari del parco, ecc.
- Aggiungerei una serie di attività materiali, svolte in supporto alle squadre di operai o in situazioni di emergenza o di necessità particolari: comprendono le raccolte di rifiuti (quasi quotidiane in piccolo, occasionali in grande), le rimozioni di piante pericolose o cadute (in emergenza o in aiuto agli operai), le piccole riparazioni di cartelli e piccoli arredi vari, ecc.
Come hai fatto a trovare questo lavoro?
Casualmente avevo vinto un concorso per Vigile urbano in un paesino della mia zona.
I responsabili dell’ente per cui lavoro ora mi conoscevano perché avevo sempre mostrato interesse per l’ecologia e l’ambiente. Ero stato parte di una lista Verde in un comune vicino, avevo partecipato a diverse manifestazioni, ero e sono socio di WWf e LIPU. Quando si sono creati due posti di guardiaparco per una nuova riserva, quelli dell’ente di gestione, prima di fare un concorso, mi hanno chiesto se fossi stato interessato a una mobilità e ho accettato. A loro interessava la mia presunta esperienza e competenza in attività di polizia, visto che l’altra guardia aveva una formazione prettamente naturalistica. Ho obiettato che non sapevo distinguere un merlo da un fringuello, o una quercia da un tiglio: mi hanno risposto “questo te lo insegniamo noi”. E così è stato.
E come eri diventato vigile?
Come detto, facevo il vigile urbano da 5 anni e mezzo. Lo ero diventato per caso. Ho sbagliato gli studi: mi piacevano le lettere e le lingue, ma ho scelto una scuola a indirizzo linguistico commerciale (perito aziendale corrispondente in lingue estere). Finita la scuola superiore, l’università era un lusso per la mia famiglia e una gran fatica per me, così ho “sbandato” qualche anno, lavorando in fabbrica, prima di provare il concorso di vigile urbano. A un concorso per guardiaparco ero arrivato sesto, ma c’erano solo due posti.
Adesso sei soddisfatto del cambiamento o cambieresti ancora?
Non tornerei indietro, ma cambierei ancora. Non so bene in che modo, ma i limiti del mio lavoro sono: eccesso di dispersione delle attività (con conseguente scarsa specializzazione); frustrazione per vincoli e i limiti di un piccolo ente pubblico, che fatica a fare quello che vorrebbe (o che dovrebbe); scarse incentivazioni economiche. Sono limiti che però viaggiano insieme a tanti vantaggi, per cui cambiare in meglio non è affatto facile.
Scusa l’indiscrezione, ma si guadagna bene a fare il guardiaparco?
Dipende dalle aspettative di ciascuno. Si guadagna come un operaio specializzato, o un impiegato di medio livello. Siccome spesso il lavoro è accompagnato da una buona dose di passione, si finisce col farsi più carico di molte cose e quando si è timbrato il cartellino, non si finisce sempre lì. Per cui forse il rapporto energie spese/guadagno economico non è vantaggioso.
Inoltre non c’è molta possibilità di fare carriera. Solo i responsabili di settore possono arrivare al livello di funzionario: io ci sono arrivato, ma più in là non potrei andare!
Prima di diventare guardia, che cosa pensavi delle guardie?
Sinceramente ne sapevo poco o nulla. come penso sia ancora oggi per molti ragazzi.
Che difficoltà incontri quotidianamente?
Per me come per tutti, il primo problema è il fatto che innumerevoli questioni di ordine anche molto diverso tra loro (dalla scuola che chiede un progetto didattico, al tizio che chiede di tagliare una pianta, all’inquinamento di un corso d’acqua, agli abusi edilizi, ai problemi di contestazione di infrazioni) devono essere “normalmente” seguire più o meno in contemporanea (anche perché in parte imprevedibili) e impediscono spesso di portare a fondo con la dovuta calma e con l’approfondimento del caso ogni situazione.
Il funzionamento di un ente pubblico per quanto piccolo, comporta una serie di carichi di tipo burocratico amministrativo, spesso inevitabili, ma a volte stupidi, che effettivamente pesano.
Non litigo spesso con la gente, ma il rapporto coi fruitori, specie nelle feste, la domenica o l’estate, è comunque faticoso: ognuno ha obiezioni, punti di di vista, “sacrosante ragioni” che ti tocca sorbirti e a cui devi rispondere adeguatamente. Nel mio caso personale non mi lamento tanto del tempo speso in macchina o in ufficio, ma della difficoltà a tener separati i due contesti: in qualità di responsabile del mio settore ho spesso bisogno di tempo per seguire le procedure di contestazione, gli aggiornamenti legislativi, la programmazione delle attività: contemporaneamente però non posso esimermi dall’uscire sul territorio (perché siamo in pochi) e qualsiasi cosa capiti devo mollare lì tutto e aprire un nuovo fronte.
Nel nostro parco comunque tutti fanno qualcosa di preciso, oltre alla vigilanza, per cui il problema della “dispersione” delle energie personali esiste per tutti. Io lo sento in modo particolare: seguo anche le attività didattiche, la cooperazione internazionale, il notiziario e più o meno qualsiasi cosa riguardi la riserva dove lavoro la maggior parte del tempo ( e dove siamo solo in due, di cui uno al 50%).
Intendiamoci: anche i tecnici, gli impiegati o gli operai fanno moltissime cose contemporaneamente, ma normalmente sono cose molto collegate tra loro, cose dello steso genere. Un guardiaparco spesso si trova a far cose in ambiti completamente diversi, come ho spiegato prima.
Che tipo di persone incontri?
Chiunque, come puoi immaginare. Forse la maggioranza sono persone comuni, famiglie, che ti si rivolgono come a una specie di “saggio della foresta”, che sa tutto di animali, piante, fiori e insetti. Questo fa piacere, anche se alla maggior parte delle domande che fanno potrebbe rispondere chiunque abbia un po’ di pratica con la natura.
Poi ci sono i residenti: di solito conoscono il parco da prima di te: bisogna fare attenzione a non snobbarli e riconoscere la loro “competenza”, però poi bisogna anche smontare i loro pregiudizi.
Poi ci sono i cafoni, quelli che la sanno sempre più lunga, quelli che ti disprezzano a priori, o perché ti associano a un’amministrazione pubblica notoriamente poco efficiente, o perché ti considerano un “volontario impallinato con la fissa degli uccellini”.
Che cosa cercano le persone che vengono nei parchi?
Spesso solo tranquillità e lontananza dall’ambiente urbanizzato. A volte sono curiosi di osservare il mondo naturale, le tracce degli animali, il bosco, il fiume. Poi ci sono quelli per cui il parco naturale è esattamente come un parco cittadino, o un parco giochi: vogliono portare i cani a correre e i bambini a giocare a palla o fare un pic-nic sull’erba: nelle nostre aree protette, spesso a ridosso delle città, è purtroppo un atteggiamento diffuso. Per chi invece sceglie il parco perché è un parco, credo che la prima motivazione che ho detto sia la più importante.
Come pensi cambierà il tuo lavoro in futuro?
Nella nostra regione è previsto un accorpamento di enti parco. Se così sarà spero che la dimensione più grande permetta a ciascuno di specializzarsi in una materia e diventare così più competente ed efficace nel suo campo. La varietà del lavoro in un parco è comunque superiore a molte altre realtà, e non credo mi annoierei mai. Come responsabili della vigilanza delle aree protette piemontesi stiamo cercando di coordinarci sempre di più proprio per arrivare a una migliore qualità del nostro ruolo, che, almeno per i responsabili, resta prioritariamente quello di gestire attività di polizia amministrativa e giudiziaria.
Grazie Danilo, a pesto!
