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Gasificazione sotterranea del carbone, rischi di contaminazione delle acque

Gasificando il carbone in situ, si riducono i rischi per i lavoratori, ma aumenta la possibilità di contaminazione delle falde, senza garanzie sulla riduzione delle emissioni di CO2

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UCG sta per underground coal gasification, cioè gasificazione sotterranea del carbone. La tecnologia non è nuova vista che è stata proposta da Siemens nel 19° secolo e sperimentata in Unione Sovietica nella prima metà del 20°, prima dell’ampio  sfruttamento dei giacimenti di gas naturale.

L’idea è effettuare una parziale combustione del carbone direttamente sottoterra, con iniezione di ossidanti (aria, ossigeno o vapore) da un pozzo e raccolta del syngas da un pozzo adiacente. Il syngas è formato da 27% di idrogeno, 6-7% metano, 27% CO2, 6% Co e il resto è vapore.  e Grazie alle alte pressioni presenti sotterra, la reazione si innesca spontaeamente e procede a temperature tra i 700 e i 1500 °C.

In questo modo non è necessario estrarre il carbone fino alla superficie, riducendo tutti i rischi del lavoro di miniera (negli USA nel 20° secolo ci sono stati oltre 100000 morti per incidenti legati alle miniere di carbone), ma introducendo nuovi rischi di carattere ambientale.

Il primo è la subsidenza del terreno che potrebbe generare attività sismica nella zona.

Il secondo è la contaminazione delle falde acquifere. Un esperimento condotto di UCG dai laboratori Livermore a Hoe Creek nel Wyoming produsse una significativa contaminazione da benzene, potente carcinogeno e altri tentativi hanno prodotto problemi analoghi.

Proprio in Wyoming la compagnia australiana Linc, vorrebbe avviare progetti di UCG, ma si sta scontrando con l’opposizione dei residenti e degli agricoltori. Le preoccupazioni non sono solo di tipo NIMBY, visto che questa tecnologia genera una notevole quantità di emissioni di CO2 e la cattura di queste emissioni non è possibile con le attuali tecnologie.

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