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Cronaca ambientale

Rischio Vesuvio, la CEDU chiede lumi al governo italiano

La CEDU accoglie il ricorso di Marco Pannella e di decine di abitanti dell’area flegrea sul rischio Vesuvio

Il suo profilo è talmente famoso che una rinomata cioccolateria napoletana gli ha dedicato una pralina al cacao: è il Vesuvio, il “grande vecchio” vulcano che sovrasta la bellezza di Napoli e dell’hinterland, in quiescenza dal 1944, ad essere da ieri al centro delle attenzioni della Corte Europea dei Diritti Umani.

La Cedu ha infatti accolto il ricorso presentato da dodici cittadini della zona rossa Vesuvio, contro lo Stato italiano che non garantirebbe adeguatamente la sicurezza dei vesuviani. Entro il 12 maggio il governo dovrà fornire alla Corte Europea tutta la documentazione relativa al rischio Vesuvio.

E’ il “grande vecchio” il nuovo oggetto del contendere tra Roma e Strasburgo, o meglio il rischio connesso ad una sua possibile (probabile?) ripresa di attività, o peggio di una sua drammatica eruzione: per comprendere la materia occorre innanzitutto riportare le parole del dott. Giuseppe De Natale, Direttore dell’Osservatorio Vesuviano:

“[..] l’attuale stato del Vesuvio è lo stesso che persiste dal 1944 ad oggi, ossia di quiescenza. Non c’è alcuna evidenza di attività anomala che potrebbe indicare una ripresa imminente di attività; anzi, l’attuale sismicità di fondo, che è assolutamente normale su ogni vulcano ed è normalmente registrata al Vesuvio dal 1944 ad oggi, è notevolmente più bassa che nel passato. […]”

Una posizione che va unita con una dichiarazione di qualche mese fa di Nakada Setsuya, vulcanologo e docente dell’Università di Tokyo, a margine di un convegno sul tema svoltosi nel Cilento:

“Il Vesuvio prima o poi erutterà perché è un vulcano attivo, anche se non si può prevedere quando. Gli italiani devono discuterne e preparare un piano per gestire la situazione.”

Nell’ottica di fornire un’informazione completa, imparziale e scientificamente corretta (materia complessa quando si parla di vulcanologia e sismologia) occorre sottolineare che negli ultimi mesi è andato montando un’allarme sul “rischio Vesuvio” piuttosto pretestuoso: il tema sicurezza e la questione delle vie di fuga infatti si è facilmente trasformato in un “imminente rischio di eruzione del vulcano” che ha spostato il punto focale del dibattito e l’attenzione dell’opinione pubblica partenopea.

I fatti sono questi: alla fine di ottobre 2013 dodici abitanti della “zona rossa” vesuviana appartenenti ai Radicali Italiani hanno presentato un ricorso alla Corte Europea dei Diritti Umani di Strasburgo contro lo Stato Italiano:

“Non sta facendo il proprio dovere nel garantire nel migliore dei modi la sicurezza dei cittadini.”

è la lamentela dei cittadini, che puntavano il dito, all’epoca, sull’assenza assoluta di un piano di evacuazione di emergenza dell’area flegrea (che si trova schiacciata tra il mare ed il vulcano); nel ricorso non è infatti presente alcuna valutazione scientifica, ma una denuncia chiara su ciò che lo Stato non sta facendo per tutelare preventivamente la sicurezza dei cittadini.

In febbraio, l’ultimo atto del governo Letta è stato, vivaddio, proprio l’aggiornamento del piano di emergenza, che ha ampliato la zona rossa e si è posto l’obiettivo di assicurare la mobilitazione di tutte le componenti e strutture operative del Servizio Nazionale della Protezione Civile come un’unica organizzazione volta a portare soccorso e assistenza ai cittadini (700mila persone solo nella zona rossa).

Il fatto è che, ad oggi, il piano di evacuazione non esiste: le informazioni alla cittadinanza sono inesistenti, il Dipartimento della Protezione Civile non ha steso (o almeno non le ha fornite agli amministratori locali) le linee guida del piano di evacuazione, non esistono opere o stanziamenti per opere di messa in sicurezza del territorio: insomma, oltre ad avere stabilito dove andranno gli sfollati non si è fatto nulla.

Certo, non dipende tutto da Roma: sono i sindaci, per legge, ad essere prima autorità di Protezione Civile sul territorio e sono sempre i sindaci a detenere l’onore (e sopratutto l’onere) di informare la popolazione, aprire tavoli pubblici, redarre i piani di emergenza comunali che poi confluiranno nel Piano di Emergenza Nazionale: questo nonostante i 15 milioni di euro stanziati con fondi europei il 27 maggio 2013 dalla Regione Campania, denari distribuiti dai comuni per aggiornare i piani esistenti, dotarsene qualora ne fossero sprovvisti, informare la popolazione.

Questi sono i dati forniti dalla Regione Campania al governo: solo il 39% dei comuni campani ha stilato un piano d’emergenza (ma non ci è dato sapere quali).

I soldi, messi a disposizione grazie ad un bando pubblico che scadeva il 4 aprile (esito sconosciuto), non si potrà più dire “non ci sono”.

Ora anche l’Europa si interessa dell’area flegrea, chiedendo lumi al governo (entro il 12 maggio prossimo) sullo stato dell’arte del piano di evacuazione, e non tanto sul reale rischio che il Vesuvio possa eruttare: quella resta materia per Curzio Malaparte.

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