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Biciclette

Bike sharing a Firenze e Milano, l’educazione non basta: servono infrastrutture

Con un divertente commento sul blog Avvenimenti il presidente nazionale di ADUC mette in luce i limiti del bike sharing fiorentino.

Bike sharing a Firenze, l'educazione non basta servono infrastrutture

Il bike sharing in Italia sta letteralmente spopolando. Nel bene e nel male. Nelle città in cui è stato attivato questo servizio, specialmente quando si tratta di bike sharing a flusso libero (quello con le biciclette condivise che si possono lasciare “ovunque“), è tutto un proliferare di nuovi (più spesso “aspiranti“) ciclisti che percorrono sempre più chilometri sulle due ruote a pedali.

Ma non è affatto tutto rose e fiori, anzi. A Milano la situazione è abbastanza caotica, tanto che il giornalista Filippo Facci ha commentato la diffusione del bike sharing con un tenerissimo “Vorrei bersagliarvi di multe“.
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Altri, sempre a Milano, hanno mostrato più senso di collaborazione, come i canottieri che stanno ripulendo i navigli dalle biciclette abbandonate sul fondo dei canali.

A Firenze la situazione non è molto migliore, anzi è praticamente identica: ciclisti che vanno contromano e sui marciapiedi, per poi abbandonare le bici condivise a flusso libero nei luoghi più impensabili. Vincenzo Donvito, presidente nazionale dell’associazione di tutela dei consumatori ADUC, sul blog Avvenimenti ha pubblicato un suo commento in merito.

Un commento divertente e intelligente, quello di Donvito, speculare a quello arrabbiato e vendicativo di Facci. Un commento intitolato “Vado in bike-sharing a Firenze (e non solo). Vita da clandestino“.

Da clandestino perché, vuoi o non vuoi, se vai in bici a Firenze sei costretto a comportarti male. Raccontando una immaginaria corsa in bicicletta a Firenze Donvito parla così dei ciclisti contromano: “Ed ora, come faccio ad andare li’? E secondo loro io dovrei fare tutto il giro di tre isolati, affrontare quattro semafori, farmi venire il cancro per stare in fila dietro a macchine e motorini… ma son grulli? Ci saranno neanche cento metri di strada da fare, certo, contromano, ma che vuoi che sia. Ma forse c’e’ una pista ciclabile… pista, pista delle mie brame, dove sei? Ahi, si’ quelle sui viali, ma la citta’ non e’ solo viali. Anzi. Niente pista“.

E allora contromano, o sul marciapiede. Perché avevi preso la bici per risparmiare tempo e saltare il traffico, ma la città ti impone di viaggiare in mezzo al traffico e di sottostare alle regole pensate per le automobili. Se ci fossero le piste ciclabili…

E sul parcheggio selvaggio delle bici Donvito racconta: “Ed ora, dove la lascio? Sai che… cosi’ come l’ho trovata. Per decenza la metto li’ vicino alla rastrelliera. Vicino, che’ questa e’ strapiena. Ma e’ sempre in sosta vietata…. E che devo fare?“.

Eh… che devo fare? Bella domanda, assolutamente legittima. Chi ha portato in città, sia essa Firenze o Milano o qualunque altro centro urbano, il bike sharing a flusso libero poteva anche pensarci prima al fatto che le nostre città non sono a misura di bicicletta. E che se la bici la prendi sei letteralmente impossibilitato, il più delle volte, a fare il bravo ragazzo e l’educato cittadino.

Resta il fatto, e resterà sempre, che il codice della strada è quello, vale per tutti e va rispettato. Ma Donvito si fa l’ultima domanda intelligente: “Ma come fanno a Copenaghen o ad Amsterdam?

E si da l’ultima risposta illuminante: “Eh… ma quelli sono nordici, cosi’ come anche i loro amministratori“.

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