Sembra quasi incredibile, ma per l’Economist il petrolio non è più al centro del mondo. In un articolo redazionale intitolato Il combustibile di ieri, il settimanale economico inglese sostiene che “la sete per il petrolio potrebbe avvicinarsi al picco; cattive notizie per i produttori, buone per tutti gli altri”.
Il pezzo è corredato dall’immagine di un T-rex che tiene in mano un erogatore di benzina. Come fa notare ironicamente Kjell Aleklett sul blog di ASPO, il settimanale ha fatto una bel pezzo di strada da quando sosteneva che saremmo affogati nel petrolio.
L’Economist ritiene non realistica la previsione dell’IEA di una domanda a 104 milioni di barili al giorno nel 2030 (ora siamo a 89 milioni) e ritiene che la domanda sia prossima al picco grazie alle energie rinnovabili, al miglioramento dell’efficienza energetica, al maggiore futuro costo delle emissioni di carbonio.
Gli economisti naturalmente si guardano bene dal sottoscrivere quella che ancora considerano un’eresia, cioè la teoria di Hubbert secondo cui è l’offerta (e non la domanda) a presentare un picco.
L’attuale boom del tight oil viene citato come una smentita della teoria del picco, mentre è esattamente l’opposto: le compagnie petrolifere si dedicano al fracking costoso e devastante proprio perché la produzione di petrolio convenzionale è in declino dal 2005.
Il calo nell’offerta e nella domanda dei combustibili fossili ridimensionerà le ambizioni di Exxon e soci, ma anche di Putin e dei Sauditi, ma questo non significa che si ridurrà il rischio di conflitti,
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