People holding an Italian flag reading "Eternit (a company making fiber cement) : Justice!" protest during a demonstration organized by the French association of asbestos victims, Andeva, on October 13, 2012 in Paris. AFP PHOTO KENZO TRIBOUILLARD (Photo credit should read KENZO TRIBOUILLARD/AFP/GettyImages)
Domani il premier Matteo Renzi incontrerà le vittime dell’Eternit e nel week end, dopo essere stato ponderato a lungo, è arrivato il comunicato dell’Afeva, l’Associazione dei familiari delle vittime che ha promesso di voler continuare sulla strada della battaglia legale:
La lotta non finisce qui, intraprenderemo tutte le azioni legali e di mobilitazione sociale possibili in tutto il mondo, compreso qualunque caso contro l’Eternit, come il processo a S. per omicidio volontario che verrà celebrato prossimamente a Torino.
Il comunicato è stato siglato da AFEVA Italia, ANDEVA Francia, ABREA Brasile, ABEVA Belgio, FEDAVICA Spagna, ASAREA Argentina, UAO Svizzera, ASBESTOS VICTIMS SUPPORT GROUP FORUM UK Gran Bretagna e A-BAN Giappone ovverosia da tutte le associazioni che si battono per eliminare l’amianto e per risarcirne le vittime.
Com’era stato per il primo e secondo grado, la sentenza di Cassazione ha avuto una vasta eco a livello internazionale, perché l’amianto non solo è diffuso su scala globale in manufatti ed edifici, ma continua a essere prodotto su vasta scala, tanto che le macchine smantellate in Europa sono state traferite in Paesi come l’India e il Brasile in cui non esistono norme a tutela della salute dei lavoratori stringenti come nel nostro Paese dove la produzione e la vendita dell’amianto sono state bandite nel 1992.
Negli scorsi giorni è riemersa la notizia relativa a una sentenza datata 1906, con la quale “in nome di Sua Maestà Vittorio Emanuele III”, proprio il Tribunale di Torino sottolineava la pericolosità dell’amianto. Ben 108 anni fa, al termine di una causa civile promossa dalla società inglese British asbestos company limited contro il giornale Il Progresso del Cavanese e delle Valli Stura, i giudici affermarono che le richieste di risarcimento della società erano ingiustificate poiché la lavorazione era effettivamente dannosa per la salute dei lavoratori.
Di esempi come questo è costellato tutto il Novecento. Anche nella Germania nazista si presero iniziative di prevenzione per preservare i lavoratori dai rischi derivanti dalla lavorazione, precauzioni che riguardavano solamente i lavoratori di “razza ariana”. E, come spiegato in un articolo di qualche giorno fa, il dibattito sulla dannosità dell’asbesto era già molto frequente anche negli anni Sessanta: in Gran Bretagna i quotidiani Times e Guardian e la televisione Bbc, fra il 1964 e il 1967, raccontarono numerose storie di operai e portuali ammalatisi dopo essere stati esposti alle fibre.
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