L’allevamento Green Hill di Montichiari è stato condannato dal Tribunale di Brescia per i reati di maltrattamento animale e uccisione di animali (articoli 544bis e 544ter del Codice penale) e dunque sono stati riconosciuti 1 anno e 6 mesi a Renzo Graziosi, veterinario dell’allevamento e a Ghislane Rondot, co-gestore di “Green Hill 2001”; mentre Roberto Bravi, direttore dell’allevamento è stato condannato a un anno più risarcimento delle spese. Inoltre è stata disposta la sospensione dalle attività per due anni per i condannati e confisca dei cani. Solo a Bernard Gotti, co-gestore di “Green Hill 2001” è stata riconosciuta l’assoluzione.
Ora alla LAV, custode giudiziario insieme a Legambiente dei circa 3000 beagle posti sotto sequestro dal 18 luglio 2012, poi affidati a famiglie adottive sarà risarcita come parte civile, con Enpa, Lega Nazionale Difesa del Cane e Leal e questi soldi, al netto delle spese legali, andranno a costituire un salvadanaio destinato a un Fondo per la ricerca sui metodi alternativi alla sperimentazione animale.
LAV commenta così:
Una vicenda senza precedenti in Italia e nel mondo per numero di animali “da esperimento”, circa 3000 definitivamente salvi, e per i suoi risvolti giudiziari: la legalità e il rispetto del benessere animale sono principi vincolanti, per legge, anche in settori come la sperimentazione.
La risposta del tribunale è stata comunque al di sotto delle aspettative rispetto alle condanne richieste dal pubblico ministero Ambrogio Cassiani. Il giudice ha deciso, infatti, per una diminuzione della pena passando dai 3 ai e 6 mesi richiesti per il veterinario Graziosi, ai 3 anni per Rondot e ai 2 anni per Bravi e Gotti alle condanne a 1 anno e se mesi e a 1 anno mentre poi Gotti è stato assolto. Peraltro è emerso, durante il dibattimento, che Ghislane Rondot, rappresentante legale di green Hill aveva chiesto via mail aiuto all’FBI per controllare gli animalisti che protestavano contro l’allevamento, nel timore che qualche “talpa” si potesse infiltrare nei capannoni e portare all’esterno informazioni compromettenti.
Ciò però non frena l’entusiasmo della LAV che dice:
Le condanne non sarebbero state possibili senza la Legge 189 del 2004, fortemente voluta e da noi sostenuta, ma è anche simbolicamente la vittoria di Davide contro Golia, l’affermazione delle ragioni antivivisezioniste in contrapposizione agli interessi di una potente multinazionale come la Marshall. Sulla base di quanto emerso dalle prove e dai verbali del processo, inoltre, la LAV annuncia che chiederà l’imputazione dei veterinari dell’Asl di Lonato, dell’Istituto Zooprofilattico di Brescia e dei funzionari della Regione Lombardia e del Ministero della Salute, che in tutti gli anni passati avevano scritto che tutto era regolare nell’allevamento.
Durante il dibattimento sono state fatte emergere le criticità dell’allevamento di Montichiari, di proprietà della multinazionale Marshall, in cui i cani venivano lasciati morire secondo il “sistema Green Hill” poi dimostrato in aula e che ha portato i giudici a decidere per le condanne. A essere uccisi anche i cuccioli perché magari affetti da dermatite e allora piuttosto che ricorrere alle cure o a un’alimentazione adeguata che perà ne pregiudicava l’uso come cavie, venivano abbandonati al loro destino e privati delle cure. Secondo le prove portate in tribunale, tra il 2008 e il 2012 ci sono stati ben 6023 decessi a fronte dei 98 decessi che si sono verificati nel periodo successivo al sequestro.
Spiega ancora la LAV:
Numerose le prove portate in aula dal Pubblico Ministero, a dimostrazione dell’esistenza di un “sistema Green Hill”, ovvero la pratica aziendale di uccidere i cani affetti da patologie per contenere i costi e perché non erano più idonei allo scopo. Costava per loro di meno farli riprodurre in continuazione e sostituire così i “difettosi”.
A nulla, dunque, sono valsi i tentativi della difesa che ha portato in aula le controprove, ovvero che i cani sarebbero morti anche nel corso delle adozioni da parte delle associazioni animaliste. Ma la Lav ha risposto legalmente vincendo.
L’impianto del processo si è sostenuto grazie a degli elementi di prova particolarmente circoscritti, quali:
1) l’interno dei capannoni non era biologicamente puro (requisito per animali destinati ad esperimenti), tanto che l’impianto d’areazione aspirava aria dall’esterno
2) il caldo e l’umidità (accentuata fino al 65% nel capannone n.3 dall’acqua che veniva gettata sul tetto) erano un fattore di stress per gli animali e concausa di problemi sanitari (es. rogna, diarrea)
Ha precisato l’avv. Campanaro difensore per la LAV:
Non è vero che in materia di vivisezione tutto è lecito. Va rispettata l’etologia animale indipendentemente dalla sua destinazione finale, questo vale per un animale d’affezione quanto per quelli purtroppo allevati e poi macellati o ancora destinati ai laboratori. I beagle sono stati i protagonisti di un processo innovativo, che ha puntato l’attenzione sul rispetto del principio di legalità anche nella vivisezione. La norma comunitaria e nazionale e la giurisprudenza hanno ampiamente chiarito che tutti gli animali sono essere senzienti e vanno curati e accuditi rispettandone l’etologia, al di là del loro possibile ‘utilizzo’ commerciale.
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