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La perla di Tahiti “vittima” del global warming

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Anche se gli effetti dei cambiamenti climatici negli Oceani sono meno visibili di quelli sulla terraferma, il global warming sta trasformando molti degli equilibri della vita marina. Fra le “vittime” meno note del riscaldamento globale vi è la perla di Tahiti, una pregiata biglia di madreperla che è una delle ricchezze dell’economia polinesiana.

Il gioiello si estrae dall’ostrica locale, la Pinctada Margaritifera che è meglio conosciuta come “di Tahiti” per esigenze di marketing. In realtà, infatti, nasce a diverse centinaia di chilometri dalla più nota isola dell’arcipelago polinesiano. La sua coltivazione, infatti, avviene nella lagune degli arcipelaghi delle Tuamotu e delle Gambiers.

L’aumento delle temperature e dell’acidificazione delle acque marine è una minaccia per un’attività che coinvolge 1300 persone nelle coltivazioni di perle, circa 8000 persone se si considera tutta la filiera produttiva. I dati relativi al 2014 ci dicono che la perla di Tahiti ha fruttato alle casse della Polinesia francese un flusso di 74 milioni di euro, con un export diretto che raggiunge prevalentemente lo “snodo” commerciale di Hong Kong e il mercato giapponese.

Il governo della Polinesia ha lanciato un programma di ricerca di concerto con la filiera perlifera in modo da trovare le soluzioni per far fronte alle conseguenze climatiche sul delicato habitat delle ostriche.

Davide Mazzocco

Giornalista e saggista, attivo sul web dal 2000 ha collaborato con numerose testate fra cui L'Unità, Narcomafie, La Nuova Ecologia, Slow Food, Terra, Alp, Ciclismo, Sport Week, Extratorino, Suden e Cinecritica. Fra i suoi libri più noti vi sono "Propaganda Pop", "Giornalismo online", "Giornalismo digitale" e "Storia del ciclismo". Ha co-diretto il documentario "Benvenuto Mister Zimmerman".

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