I Sioux del Nord Dakota protestano contro un oleodotto

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I sioux della riserva di Standing Rock, in North Dakota, sono di nuovo scesi sul piede di guerra. I lunghi coltelli, questa volta, sono le autorità che hanno via libera ai bulldozer della compagnia texana Energy Transfer Partners che intendono costruire un oleodotto sulle loro terre, resti spettrali di quelle scampate alle bramosie bulimiche del Manifest destiny, l’inesorabile spinta verso ovest che ha segnato la storia della Frontiera e della cultura statunitensi. Al prezzo dello sterminio dei bisonti e del genocidio, culturale prima che fisico, delle popolazioni indigene delle Great plains.

“Hanno cercato di spingerci via con i camion e i bulldozer ma abbiamo continuato a respingerli e li abbiamo rimandati oltre il dosso. […] Io ho combattuto per questo Paese e ora questi bastardi che cosa stanno cercando di fare alla nostra terra? È giunto il momento di combattere per la mia gente, i miei fratelli, i miei amici”

ha detto uno dei manifestanti.

I Rosebud sioux temono che, estendendo le sue ragnatele telluriche sotto il bacino idrografico del Missouri, in caso di incidente l’oleodotto possa mettere a rischio le loro risorse idriche. Come già successo ai navajo e agli ute le cui terre in Colorado, solo un anno fa, sono state contaminate dallo sversamento di rifiuti tossici nel fiume Animas nel corso della bonifica di una miniera eseguita, incredibilmente, dall’Environmental Protection Agency, l’agenzia federale per la Protezione ambientale. Nel frattempo, i lavori hanno già profanato alcuni siti sacri e funerari della comunità tribale.

Un giudice federale dovrà decidere entro il 9 settembre se imporre un’ingiunzione di sospensione dei lavori dell’oleodotto per dare modo alla comunità tribale sioux di mandare avanti la causa legale. Ma è solo un’altra tappa del Trail of tears, la Pista della lacrime, di questo popolo martire e guerriero. Folgorato dalla modernità.

A.S.

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