
Matcha mania fuori controllo: il Giappone paga il conto - ecoblog.it
La crescente domanda mondiale di matcha, alimentata dai social e dalle celebrità, sta mettendo sotto pressione la produzione giapponese, con possibili conseguenze sulla qualità e sulla sostenibilità del prodotto.
Negli ultimi anni il matcha, polvere finissima di tè verde giapponese, è passato dall’essere un simbolo della cerimonia del tè a diventare una delle bevande più fotografate e condivise al mondo. La sua fama, amplificata da piattaforme social e influencer di rilievo, ha raggiunto livelli tali da trasformarlo in una tendenza globale. Ma questo successo, nato da una lunga tradizione, si sta ora scontrando con i limiti produttivi di un settore che richiede tempi e metodi di lavorazione molto precisi. In Giappone, dove il matcha è nato e viene coltivato secondo tecniche secolari, cresce la preoccupazione per un futuro in cui la domanda potrebbe superare di gran lunga l’offerta.
Origini antiche e benefici riconosciuti
Il matcha affonda le sue radici nel XII secolo, quando i monaci buddisti importarono dalla Cina le prime piante di tè, adattando la coltivazione alle condizioni climatiche locali. La sua lavorazione prevede che le piante crescano all’ombra per alcune settimane prima della raccolta, favorendo la produzione di clorofilla e amminoacidi come la L-teanina, responsabili del colore brillante e del sapore intenso. Dopo la raccolta, le foglie vengono private delle venature, essiccate e macinate lentamente con mulini di pietra, in un processo che può richiedere ore per produrre pochi grammi di polvere.

Sul piano nutrizionale, il matcha contiene elevate concentrazioni di polifenoli, caffeina e composti antiossidanti in grado di supportare funzioni cognitive, sistema cardiovascolare e metabolismo. Studi recenti lo associano a benefici per la salute intestinale e per il controllo della glicemia. Non mancano però avvertenze: un consumo eccessivo può ridurre l’assorbimento del ferro, interferendo con la produzione di globuli rossi.
Questa combinazione di storia, gusto e presunti effetti positivi ha spinto il matcha oltre i confini culturali giapponesi, trovando spazio nei menu di bar internazionali, nelle ricette dolci e salate, fino al settore cosmetico. L’esplosione della domanda è stata ulteriormente alimentata dalla visibilità offerta da personaggi come Kourtney Kardashian e Sophie Habboo, che ne hanno fatto un elemento costante nei propri contenuti social.
Pressione sulle piantagioni e rischio di perdita di qualità
Dal 2013 al 2023, la produzione giapponese di matcha è quasi triplicata, raggiungendo 4.176 tonnellate annue. Eppure, il ritmo di crescita della domanda mondiale è ancora più rapido, con previsioni di raddoppio del mercato entro il 2028. Le esportazioni assorbono ormai una parte rilevante del raccolto, mentre il consumo interno di tè verde in Giappone mostra un leggero calo.
I coltivatori, soprattutto quelli di piccola scala, affrontano una sfida complessa: mantenere standard qualitativi elevati con un volume di produzione in costante aumento. La coltivazione tradizionale, che privilegia la biodiversità e il rispetto dei tempi naturali, rischia di essere soppiantata da metodi industriali più veloci ma meno attenti all’ambiente.
Le tensioni commerciali internazionali e l’aumento dei dazi hanno già inciso sui prezzi, favorendo operazioni speculative e rendendo il prodotto finale meno accessibile. In assenza di interventi mirati, si prospetta uno scenario in cui il matcha potrebbe perdere parte della sua identità culturale, trasformandosi da prodotto di eccellenza artigianale a merce di massa priva del legame con il territorio d’origine.
Il dibattito tra produttori, distributori e autorità agricole in Giappone ruota ora attorno alla necessità di regolamentare le esportazioni, incentivare la formazione di nuovi coltivatori e preservare le aree di produzione storiche. Un equilibrio difficile, in un mercato che corre più veloce di quanto la natura possa sostenere.