
Se dici questo in pubblico, ti licenziano - ecoblog.it
La Cassazione conferma: insultare il capo, anche una sola volta, può bastare per il licenziamento immediato. Ecco i dettagli della sentenza n. 21103 del 2025.
Un insulto rivolto al proprio capo, se pronunciato in pubblico e in un contesto lavorativo, può essere sufficiente per perdere il posto. La Corte di Cassazione lo ha ribadito con l’ordinanza n. 21103, destinata a fare giurisprudenza: l’episodio riguardava una psicologa, licenziata dopo aver apostrofato il suo responsabile con l’epiteto “leccaculo” durante una discussione legata al piano ferie. L’offesa, pronunciata davanti a una collega, è stata giudicata non solo una caduta di stile, ma un atto di insubordinazione grave, capace di spezzare il rapporto fiduciario tra datore e dipendente.
Offesa pubblica e precedenti disciplinari: i fattori che hanno pesato sulla decisione
Il contesto è stato determinante. La dipendente lavorava in una struttura di assistenza per persone con disabilità e ha rivolto l’insulto al proprio superiore proprio mentre quest’ultimo stava comunicando le modifiche alle ferie. La presenza di una testimone ha trasformato quella frase in una umiliazione pubblica, con un impatto molto più forte rispetto a un diverbio privato. Non è stato l’unico elemento considerato dai giudici. La psicologa, infatti, aveva già ricevuto in passato una sanzione disciplinare per aver insultato il padre di un paziente. Pur non trattandosi di una recidiva tecnica, la Cassazione ha sottolineato come questo episodio precedente contribuisse a delineare un profilo caratterizzato da facilità all’ingiuria.

In primo grado, il Tribunale aveva ritenuto eccessivo il licenziamento, ma la Corte d’Appello ha ribaltato la decisione, evidenziando che l’epiteto non era solo offensivo, ma “volgare e ingiurioso”, tale da rendere impossibile la prosecuzione del rapporto. La Suprema Corte ha confermato la linea, sottolineando che la gravità non dipende dalla frequenza degli episodi, ma dal loro contenuto e dal contesto.
Un singolo insulto può bastare: la giusta causa spiegata dalla Cassazione
Il principio sancito dai giudici è chiaro: nel diritto del lavoro italiano, ai sensi dell’articolo 2119 del codice civile, il licenziamento per giusta causa può scattare anche dopo un solo episodio, se tale da compromettere in modo irreversibile il rapporto di fiducia. Non serve una serie di comportamenti, basta un fatto grave.
L’insulto rivolto al capo davanti a testimoni, soprattutto in risposta a un ordine gerarchico, integra una forma evidente di insubordinazione, in grado di rendere impossibile la prosecuzione del rapporto. Il contratto collettivo nazionale già prevede sanzioni per litigi e ingiurie, ma la Cassazione ha precisato che la modalità con cui viene espresso l’insulto, il contesto e la sua portata pubblica sono elementi centrali nella valutazione della gravità.
Nel caso della psicologa, la frase è stata pronunciata in un momento legato all’organizzazione del lavoro, con un chiaro valore di delegittimazione nei confronti del superiore. Da qui la conclusione: il licenziamento senza preavviso era pienamente legittimo.
Questa decisione segna un punto fermo per i rapporti di lavoro nel settore pubblico e privato, ricordando che il linguaggio usato sul luogo di lavoro non è un dettaglio, ma può avere conseguenze decisive sul futuro occupazionale.