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Cronaca ambientale

Maltempo in Sardegna, come nasce il ciclone? Altri morti da dissesto idrogeologico

L’esperto all’Ansa: “Fenomeno possibile ma inusuale”. Torna prepotente il tema del rischio idrogeologico

Il fenomeno atmosferico del ciclone abbattutosi sulla Sardegna è già assurto alle cronache come un nuovo dramma nazionale, con il governo che questa mattina ha decretato l’ennesimo stato d’emergenza: un dramma dovuto all’imprevedibilità di questi cambiamenti climatici pazzeschi, che dappertutto nel mondo (nelle Filippine e negli Stati Uniti gli ultimi casi eclatanti) semina oramai morte e distruzione.

Tutto vero anche se non propriamente corretto. A spiegare scientificamente il fenomeno ci ha pensato il fisico Alfonso Sutera, del dipartimento di Fisica dell’università Sapienza di Roma, all’agenzia stampa Ansa, che ha parlato di un fenomeno “possibile ma inusuale”: 459 millimetri di pioggia caduti in Sardegna nell’arco di poche ore, in un Paese in cui la media nazionale è di 900 millimetri l’anno, sono certamente un’eccezionalità, ma che certamente non giustificano il dramma umanitario causato dalle forti piogge.

L’aria fredda di provenienza artica unita al calore delle acque del Mediterraneo, che in questa stagione viene investito da afflusso di aria umida e calda proveniente dall’Africa, ha comportato il piccolo “corto circuito” meteo:

“La bolla di aria fredda, dal raggio compreso fra 300 e 400 chilometri, si è staccata dalla perturbazione ed è penetrata nel Mediterraneo, che in questo periodo dell’anno è ancora caldo: l’aria calda e umida ha rafforzato il ciclone.”

giunto sui cieli sardi il ciclone ha toccato terra, scatenando la sua ira. Le caratteristiche montane del territorio sardo hanno contribuito ad alimentare la forza ciclonica, contribuendo all’innalzamento in atmosfera dell’aria calda africana.

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A terra è stato invece l’ennesimo dramma, che ad ogni stagione umida si ripete come a ripetersi sono le preghiere di chi, disperato, si appella al divino per chiedere conto della distruzione terrena: sono 5 milioni i cittadini italiani che vivono ogni giorno in aree considerate ad alto rischio idrogeologico (oltre 6.600 comuni in Italia), sotto il costante rischio di vedersi travolgere da frane o alluvioni.

L’intensità delle precipitazioni atmosferiche, sulla quale grava l’annoso problema del riscaldamento globale, sono dunque una concausa al dramma umanitario che ogni anno (più volte l’anno) l’Italia si trova costretta ad affrontare: sono attestati di solidarietà, gare di aiuto, veglie di lacrime, medaglie dello Stato, sono appelli al divino e alla responsabilità, sono promesse di intenti che non si tramutano mai in atti concreti a tutela del territorio e delle popolazioni.

L’anno 2013 della storia ambientale italiana verrà ricordato come quello del “consumo di suolo”: sono centinaia i progetti, i contributi scientifico/culturali in materia, gli appelli della politica e delle istituzioni affinchè si ponga un freno al consumo di suolo. Nel frattempo l’Italia continua a franare ed allagarsi senza soluzione di continuità: i danni milionari vengono affrontati solo da irreparabili e la prevenzione resta una chimera.

Basterebbe ricordare il dramma di Sarno e Quindici, ma anche la più recente alluvione genovese o la recentissima, di pochi giorni fa, esondazione nel metapontino (appuntamento annuale per gli abitanti e gli agricoltori della piana di Metaponto), che ha compromesso le poche colture che hanno resistito all’afa estiva, per rendersi conto dell’emergenza nazionale che rappresenta il dissesto idrogeologico: un’emergenza che si affronta solo se giunta alla massa critica, una cattiva abitudine che comporta solo l’assunzione di altri rischi, economici per lo Stato e di incolumità per i soccorritori e per i cittadini.

L’inesistenza di un piano nazionale per il dissesto idrogeologico, del quale si è semplicemente cominciato a pensare solo da pochi mesi, è la più grave delle inadempienze dello Stato che costano oggi 17 vite di cittadini sardi.

“I fondi stanziati per la prevenzione dei danni causati dal dissesto idrogeologico debbono essere adeguati alla realizzazione dell’unica grande opera veramente necessaria per il Paese e non possono essere limitati, per il 2014, a quei 30 milioni previsti dalla Legge di stabilità in discussione al Senato. Così come bisogna rivedere le politiche dei tagli che hanno indebolito gravemente un sistema di protezione civile regionale che fino ad oggi si era dimostrato efficiente e adeguato per rispondere alle emergenze.”

Così ha riassunto la situazione il presidente di Legambiente Vittorio Cogliati Dezza; i 2 miliardi di euro spesi per la prevenzione negli ultimi 10 anni fanno a cazzotti con gli altrettanti miliardi spesi solo negli ultimi tre anni per far fronte alle emergenze: una politica, quella dello stato d’emergenza, ulteriormente antieconomica se applicata con i criteri della Legge di Stabilità, che sbloccherebbe 1,3 miliardi di euro per interventi immediatamente cantierabili in attuazione degli Accordi di programma fatti negli anni scorsi con le Regioni per far fronte alla somma urgenza. Solo 180 milioni, da dividere in tre anni, i fondi per la prevenzione.

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