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USA: le emissioni di CO2 sono scese al livello del 1994

Le emissioni di CO2 negli USA sono diminuite del 13% rispetto al 2007, attestandosi sui valori del 1994. Questo è avvenuto grazie alle fonti rinnovabili, al risparmio energetico, alla riduzione del carbone nel mix energetico e alla diffusione dei veicoli elettrici

Gli USA sono l’economia più energivora del pianeta, con un consumo pro capite di  21 kg di petrolio equivalente al giorno (il triplo dell’Italia). Di conseguenza hanno anche il primato delle emissioni individuali di CO2, 55 kg al giorno.

Per fortuna, le cose stanno rapidamente cambiando: secondo un’analisi di Bloomberg commissionata dal Business Council on Sustainable Energy, nel 2012 le emissioni sono calate a 5,67 Gt, il 5% in meno rispetto all’anno precedente e il 13% in meno rispetto al 2007, anno del picco.

Unendo questa informazione ai dati storici della BP statistical review, si vede che le emissioni sono scese ai livelli del 1994. Di chi è il merito?

Come fa notare il Guardian, ciò è dovuto in primo luogo alla maggiore diffusione delle energie rinnovabili: + 130% negli ultimi 4 anni; i consumi energetici sono inoltre diminuiti del 6,4% rispetto al 2007, in parte a causa della crisi e in parte per il miglioramento dell’efficienza energetica.

Nello stesso periodo il peso del carbone nel mix energetico elettrico è passato dal 22,5 al 18%, mentre solo lo scorso anno 488000 americani sono passati a veicoli ibridi o elettrici.

Nonostante l’assurda battaglia contro la scienza dei negazionisti per salvaguardare la fetta di profitti dell’industria fossile, il mercato USA si sta spostando verso soluzioni più low carbon.

Lisa Jacobson, giovane presidentessa del BCSE fa notare che ormai si è dimostrato assolutamente falso il cavallo di battaglia delle destre USA secondo cui la lotta ai cambiamenti climatici rallenterebbe l’economia: nonostante il calo delle emissioni, il PIL USA è cresciuto in media del 2% negli ultimi due anni.

Chi scrive ha imparato la lezione di Robert Kennedy e non ritiene che il PIL sia un indicatore adeguato del progresso e della felicità umana, ma in ogni caso questo dato permette di rispondere agli economisti conservatori anche sul loro stesso terreno.

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