Se è vero, come ho scritto ieri, che gli americani gonfiano le loro statistiche di produzione petrolifera, è anche vero che la produzione di greggio degli USA comunque è tornata ad aumentare dopo un declino quarantennale, successivo al picco del 1971.
Tra il giugno 2009 ed oggi la produzione è aumentata del 27% (curva rossa nel grafico). Hanno allora ragione i tecno-ottimisti che dicono che le innovazioni tecnologiche ci salveranno, perchè è possibile sfruttare giacimenti prima non utilizzabili?
No, hanno decisamente torto, se si racconta la storia per intero e si comprende a quale prezzo è stata ottenuta la crescita della produzione. Tra il 2009 e il 2013 il numero di trivelle attive (curva blu) è cresciuto quasi del 700%! Se prima si ottenevano in media 30 kbbl per ogni trivellazione, ora si è scesi a 5.
Questa è esattamente la conferma della teoria del picco del petrolio: si consumano prima i giacimenti più grandi, accessibili e di migliore qualità e si passa poco per volta a quelli più piccoli, meno accessibili e di scarso valore.
I giacimenti del cosiddetto tight oil sono piccoli e intrappolati tra strati di roccia impermeabile, per cui occorre utilizzare la pratica ambientalmente devastante del fracking che raccoglie opposizioni crescenti nell’opinione pubblica. Le riserve si esauriscono in fretta per cui occorre continuare a fare nuove trivellazioni ad un ritmo forsennato per mantenere la crescita della produzione.
Le trivelle ed il fracking hanno un costo economico ed energetico che alla lunga renderà questa operazione insostenibile. Come si vede dal grafico, sembra che quest’anno si sia già raggiunto il picco delle trivelle.
Fonti: EIA per la produzione e Baker Hughes per il numero di trivelle attive.
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