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Shell sospenderà le trivellazioni artiche anche nel 2014

Buone notizie per tutti quanto hanno a cuore il fragile ecosistema artico: Shell ha annunciato ieri che sospenderà le trivellazioni artiche nel mare di Beaufort e di Chukci a nord dell’Alsaka anche nel 2014.

Nel 2013 la compagnia petrolifera era stata infatti costretta a sospendere le operazioni dopo il grave incidente con la piattaforma Kulluk, arenatasi sulle coste di un parco nazionale (video in alto).

Quest’anno la pausa di riflessione è imposta dalle cattive acque in cui naviga la multinazionale che ha visto crollare i suoi profitti del 70% nell’ultimo trimestre. Come scrive il Wall Street Journal, «dopo 10 anni di tentativi di fare crescere la produzione con progetti a lungo termine sempre più onerosi, Shell si focalizzerà sulla riduzione dei costi», vendendo attività improduttive e pagando meno i suoi dirigenti.

Che cos’è questa se non una velata ammissione degli effetti del picco del petrolio? Sembra che per le aziende fossili sia l’ora della ritirata, per leccarsi le ferite. Fossero un po’ più saggi diversificherebbero il loro portfolio con le energie rinnovabili, ma sembrano davvero inestricabilmente ancorati al loro core business.

In questi stessi giorni una corte federale USA ha stabilito che il governo USA al tempo dell’amministrazione Bush non aveva adeguatamente considerato i rischi ambientali connessi alle trivellazioni artiche quando aveva concesso i permessi per le prospezioni. A settembre la Shell è stata multata per oltre un milione di dollari per aver violato il Clean Air Act (1).

Il fallimento della Shell sta avendo un effetto domino sulle altre multinazionali: il vice presidente della russa Lukoil, ha affermato che le trivellazioni artiche sono tropo rischiose per gli investimenti, la francese Total sostiene che non cercherà greggio nell’Artico perché un incidente sarebbe un disastro, mentre la norvegese  Statoil intende dismettere i suoi tentativi polari. La stessa cosa ha affermato ConocoPhillips.

In questo momento di incertezza e di debolezza delle lobby fossili è quanto mai fondamentale che la comunità internazionale faccia sentire la sua voce perchè l’Artico divenga un’area protetta dagli appetiti di militari e petrolieri, come da tempo chiede Greenpeace.

(1) Un milione di dollari è tanto per i comuni mortali, ma per i profitti annui della multinazionale (anche se in declino sono pur sempre 16 miliardi di dollari) è più o meno come per noi offrire un caffè…

EcoAlfabeta

Marco Pagani, Fisico e docente di Matematica e Fisica, attualmente svolge un Dottorato di Ricerca in Scienze Agrarie, Ambientali e Alimentari presso l'Università di Bologna. Si interessa di problematiche ambientali da lungo tempo dopo aver letto molti anni fa "Il cerchio da chiudere" di Barry Commoner, "Il punto di svolta" di Fritjof Capra e "La convivialità" di Ivan Illich. Su questi problemi ha organizzato diversi corsi e seminari coinvolgendo docenti universitari e rappresentanti della società civile. E' autore di pubblicazioni su temi scientifici e ambientali; in collaborazione con Ugo Bardi si è occupato del picco dei minerali, argomento che ha trattato anche nel libro "La vita dopo il petrolio" curato da Pietro Raitano e Gianluca Ruggero. Ha tenuto diversi corsi e seminari sui costi energetici dell'agricoltura, sull'impronta agricola-alimentare e sulla misura del consumo di territorio. E' socio ASPO e WWF, ha dato vita a un GAS (Gruppo di Acquisto Solidale), simpatizza e sostiene attivamente la Rete per la decrescita e il movimento Stop al consumo di territorio. Prim di confluire in Ecoblog, dal 2006al 2012 ha curato il blog ambientale EcoAlfabeta, di cui ora conserva il nickname. Dal giugno 2011 è Consigliere Comunale a Novara. Ama le scienze, la lettura, la scrittura, i viaggi, la montagna, la bicicletta, la musica, la cucina, la compagnia degli amici e della sua famiglia, la pace e l'intelligenza creativa.

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