Il sedicente artista cinese Cai Guo-Qiang, la cui mostra è ospitata dall’Aspen Art Museum, sta scatenando una protesta che dalla cittadina del Colorado si sta diffondendo su scala globale, per l’utilizzo improprio di tre tartarughe costrette a portare sul dorso due iPad che mostrano immagini della mostra.
Nonostante l’Aspen Art Museum abbia assicurato che le tartarughe vengono seguite settimanalmente da biologi e veterinari e che “non è nelle abitudini del museo censurare gli artisti”, c’è chi è preoccupato per gli animali costretti a portare un peso eccessivo che potrebbe compromettere i loro sistemi articolare e motorio.
L’episodio si presta a una riflessione sul concetto di arte, un concetto che nella contemporaneità ha spostato il proprio baricentro dal bello alla novità.
L’arte è stata per millenni un’esaltazione del bello, per la quale era richiesta la padronanza di una tecnica, la concretizzazione di un’idea nella materia rimodellata. La pittura e la scultura hanno inseguito gli ideali della mimesi e dell’armonia dando corpo a diverse forme di bellezza, da quella perturbante di Caravaggio a quella apollinea di Canova, dalla perfezione “fotografica” di Canaletto all’impressionismo incantatore di Renoir.
Poi il mercato è dilagato nell’arte, sconvolgendo regole millenarie. La bellezza ha smesso di essere il valore di riferimento per far posto al nuovo. Per il mercato dell’arte non importa se un’opera sia bella o capace di suscitare un’emozione, l’importante è che sia qualcosa di nuovo.
Questo atteggiamento svincola gli artisti dal rispetto delle regole e dalla padronanza della tecnica, rendendoli soggetti alle plusvalenze generate dalla critica. II meccanismo è perverso ed è identico a quello dei derivati che hanno portato l’economia al collasso: minore è il valore dell’artista, maggiore sarà il ruolo della critica che lo legittima. E questo “patto” fra artista mediocre e critico influente innesca un mercato che consente a entrambi di lucrare su ciò che è un’illusione dell’arte.
L’arte vera, quella fatta di idee, ma anche di pratica, impegno, dedizione, artigianato e lavoro, ha in sé tutto quello che necessita per essere venduta ed è per questo che gallerie, musei e critici preferiscono un artista cinese sconosciuto che molesta le tartarughe a un paziente “artigiano” che magari rilegge con il marmo le opere di Michelangelo.
La parte più perversa della faccenda è che proprio il clamore suscitato da questa becera provocazione farà aumentare la fama e, dunque, la quotazione dell’artista, a conferma di quanto la mediocrità dei sedicenti artisti trovi terreno fertile nella pura speculazione di un mercato dell’arte che fa della medietà e dell’inadeguatezza il proprio baricentro economico.
Questo l’indirizzo per chi volesse aderire alla petizione Take the iPads off the turtles (togliete gli iPad dalle tartarughe).
Foto | Facebook
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