US economist Jeremy Rifkin, author of "The Third Industrial Revolution", holds his book as he gives a speech in Lille, northern France, on October 25, 2013. Rifkin disclosed his master plan for the third industrial revolution in the Nord Pas-de-Calais region, after a ten-month mission aimed at making of this northern region of France "one of the most efficient in the world". AFP PHOTO / FRANCOIS LO PRESTI (Photo credit should read FRANCOIS LO PRESTI/AFP/Getty Images)
Poniamo di avere energia illimitata e praticamente gratuita (è la conditio sine qua non, dall’idrogeno ad esempio) e poniamo che in futuro saremo tutti possessori di una stampante 3D che grazie a file scaricati gratis da internet ci consente di stampare in casa quel che vogliamo: dai piccoli oggetti di uso quotidiano fino a più complessi prodotti. Avremmo così risolto il problema ecologico su questo Pianeta? Saremo tutti ricchi a costo zero grazie all’autoproduzione degli oggetti di uso comune?
Il punto, come fa notare Philippe Bihouix su Les Ecos ingegnere e autore del libro L’Age des low tech, ripreso in Italia dal prof. Ugo Bardi sul suo blog Effetto Risorse riguarda proprio l’uso di risorse naturali:
Il principio che regge il potenziale delle stampanti 3D è quello di depositare strato dopo strato polvere di polimero o metallo. E’ senza dubbio una tecnologia rivoluzionaria che apre prospettive appena immaginabili. Però ce ne passa dal paragonarla alla macchina a vapore che porrà fine alla produzione convenzionale. Le stampanti 3D non potranno sostituire le fabbriche di materie prime, gli altiforni, le raffinerie (anche biologiche), gli articoli in vetro e i materiali riciclati. Non possono produrre il multimateriale o oggetti assemblati, possono stampare la carrozzeria di una macchina in resina, ma non un pianoforte o un computer. Per fondere la polvere di metallo si usa un laser o un fascio di elettroni e ciò comporta una tecnologia dai costi inimmaginabili per i privati e le stampanti non stampano chiodi o viti. Infine, le materie prime sono un supporto agli oggetti da stampare: continueremo a tessere e cucire la stoffa, Rifkin, come otterrai i motori elettrici per le Google Cars, il silicio per i pannelli solari, le camicie di cotone?Peccato, perché ha anche alcune buone idee, come la condivisione e il rispetto per la proprietà.
In effetti le nostre risorse sono sempre più limitate: dalle terre rare, al rame, al ferro siamo sempre più in debito con il loro uso. Ne consumiamo troppo e ne recuperiamo poco. Eppoi abbiamo il grande problema della disponibilità di energia necessaria a far funzionare anche le stampanti 3D perché è proprio qui che tutto l’assioma di Rifkin cade:
Ma è sulla componente energia che Rifkin è e irrealistico. La sua metafora di un Internet dell’energia sente l’odore dell’economia “dematerializzata” e gli permette di schivare le domande troppo specifiche. Ahimè, non si immagazzina l’energia facilmente come i byte, non c’è nessuna legge di Moore per energia. Per produrre, immagazzinare e trasportare l’energia elettrica, anche “verde” sono necessari una grande quantità di metalli: platino per le celle a combustibile (idrogeno dunque), neodimio per le turbine eoliche, indio per le auto elettriche e selenio per i pannelli solari … e molti altri metalli, alcuni già utilizzati in elettronica, la domanda perciò esploderebbe con la diffusione delle smart grid, degli oggetti di uso connesso e con i Big Data. Le miniere non starebbero al passo delle richieste.
Perciò il consiglio di Philippe Bihouix a Jeremy Rifkin è quello di andare a visitare un po’ di miniere. Consiglio che estendiamo anche a Beppe Grillo, perché la realtà delle risorse del nostro Pianeta è condizionata dalla loro limitata disponibilità, su cui dobbiamo tutti, nel mondo, ragionare e farci i conti.
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