
The president of the National Coordination of Indigenous Peoples of Panama representing the Meso-American Alliance of People and Forests (AMPB), Mezua Candido Salazar (L) and Norway's Minister of Climate and Environment, Tine Sundtoft, participate in a meeting with other indigenous leaders from Asia, America, Africa and high-level officials to demand their rights be included in negotiating texts, during the UN COP20 and CMP10 climate change conferences being held in Lima on December 9, 2014. The UN 20th session of the Conference of the Parties on Climate Change (COP20), and the 10th session of the Conference of the Parties serving as the Meeting of the Parties to the Kyoto Protocol (CMP10) entered its second week of negotiations until 12th. AFP PHOTO/Eitan Abramovich (Photo credit should read EITAN ABRAMOVICH/AFP/Getty Images)
Sul piatto della discussione a Lima alla COP20 ci sono gli accordi per la riduzione globale delle emissioni di gas climalteranti. Ma come fa notare l’Ing Natale Massimo Caminiti ricercatore per ENEA a questa tornata probabilmente non si giungerà a grandi risultati poiché si attende il più importante incontro di Parigi nel dicembre del 2015, fissato a Durban durante la COP19 quando dovrebbe essere attivato quel Kyoto 2 che entrerà in funzione dal 2020. Mancano però le firme più importanti quali Cina, Usa, Canada, Russia, Giappone e Brasile. Al centro delle discussioni, lo dico a chiare lettere, ci sono quei 100 miliardi di dollari all’anno che i Paesi ricchi dovrebbero versare ai paesi poveri attraverso il Fondo verde per il clima. A Doha, durante la COP18 si chiusero i negoziati Cina e Usa hanno stretto tra di loro l’accordo che non necessariamente potrà fare la differenza, anche perché al momento slegato da Kyoto2.
Per ora a Lima si discute su due documenti: un’allegato su una bozza di negoziato e un allegato che dovrebbe contenere informazioni supplementari., Nel primo si discute di impegni di riduzione; contributi volontari e azioni da effettuare. Il punto da stabilire è chi deve fare che cosa. I Paesi sviluppati dovrebbero assumere impegni quantificati di riduzione delle emissioni e i Paesi in via di sviluppo devono incentrare la loro politica sull’evitare le emissioni seppur puntando a una crescita economica.
Il testo negoziale dovrebbe essere legalmente vincolante e definire tra le altre cose anche come comunicare gli impegni e le risorse messe a disposizione; e le risorse devono essere orientate verso interventi di mitigazione o di adattamento? E poi il Fondo verde per il clima, ovvero quel salvadanaio che dovrebbe essere riempito di soldi: da distribuire sopratutto ai Paesi in via di sviluppo chi lo riempie di danaro e con quanto?
Dice l’Ing. Caminiti:
Due punti deboli sono il trasferimento tecnologico dai paesi sviluppati ai paesi in via di sviluppo e le disponibilità finanziare. Le risorse ci sono e vanno rioritatate in una economia circolare che tenga conto di una società low carbon. Altro punto debole è la strumentazione. Quello di cui si parla oggi è un sistema di Emission trading che adottiamo nell’Unione europea tale che oltre il tetto di emissioni si passi poi alla compravendita; l’altro è la carbon tax, ovvero tassare i combustibili fossili in base al loro contenuto di carbonio; infine l’ultimo strumento è la defiscalizzazione carbonica dei prodotti servizi che vengono commercializzati a livello mondiale. Probabilmente un strumento che vada a defiscalizzare prodotti che hanno un minor contenuto di carbonio che possa permettere complessivamente la diminuzione delle emissioni.