Sblocca Italia, in Basilicata parte la caccia all’oro nero

Nel decreto Sblocca Italia non bisogna nemmeno leggere troppo tra le righe per intuire il trattamento che nei prossimi anni il governo riserverà alla Basilicata: quella terra diventerà l’hub energetico d’Italia.

La Lucania sarà destinata alla produzione di petrolio (prima piattaforma terrestre d’Europa) ed allo stoccaggio di gas e reflui provenienti dai corridoi energetici che si apriranno nell’Adriatico e nello Ionio, oltre che a restare il deposito nazionale più importante per quanto riguarda le scorie radioattive prodotte dalle politiche energetiche nucleari dell’Italia che fu.

I lucani pensavano che la nomina di Matera a Capitale europea della Cultura 2019, la moratoria petrolifera votata dalla giunta De Filippo, le rassicurazioni della politica (locale e nazionale), l’ExPo 2015 di Milano (che premia le eccellenze agroalimentari italiane, di cui la terra di Basilicata è un produttore instancabile, dal caciocavallo podolico all’Aglianico del Vulture, per citare solo due eccellenze) avessero non cancellato ma almeno alleggerito il rischio petrolifero che da sempre (dalla scoperta dell’oro nero) incombe sulla piccola regione del Mezzogiorno.

Secondo i dati del Ministero dello Sviluppo Economico aggiornati al 31 dicembre 2014 infatti non c’è solamente il Parco Regionale del Pollino (il più grande d’Italia, che comprende sia territorio lucano che calabrese e che è interessato da continua attività sismica sia in superficie che in profondità), che vive attendendo il responso per tre decreti di VIA (Valutazione d’Impatto Ambientale) per altrettante ispezioni petrolifere: sarebbero ben 93 i comuni lucani (in totale sono 131) interessati dalla corsa all’oro (nero) lucano, che riguarda circa 2.685,81 km² di territorio regionale.

I numeri del Ministero, in realtà, sono già un piccolo mistero: secondo le associazioni infatti sarebbero in realtà ben 6.260 i km² di territorio lucano interessati dalle prossime (probabili) estrazioni, circa il 65% dell’intera superficie regionale, perchè oltre alle attività estrattive pure, le trivelle, vanno calcolati anche i parchi energetici, le condotte e i depositi di stoccaggio di idrocarburi e dei reflui delle estrazioni (strutture che, tra l’altro, in Basilicata già creano non pochi problemi di inquinamento dell’aria, dell’acqua e del suolo).

Pomo della discordia è l’articolo 38 del decreto legge Sblocca Italia, giunto all’indomani della conferenza sul clima del settembre scorso a New York: alla faccia dell’urgenza di affrontare e risolvere “la grande sfida del nostro tempo” (cit. Matteo Renzi), i cambiamenti climatici, l’invito al mondo era di adottare politiche che fossero sostenibili e compatibili sia con i bisogni della società che con le necessità di tutela ambientale: aria fritta (e carica di CO2), visto che non appena tornato a Roma il Presidente del Consiglio ha firmato lo Sblocca Italia.

Grazie all’accentramento dei poteri e delle competenze al Governo, una vera e propria spallata agli enti locali (che di fatto non controlleranno più il proprio territorio) il decreto prevede che per la prospezione, la ricerca e la coltivazione di gas e petrolio basterà una concessione unica rilasciata da Roma:

“La legge n. 239 del 2004 aveva riconosciuto agli Enti locali la partecipazione al procedimento. Successivamente la legge n. 99 del 2009 ha limitato la partecipazione degli Enti locali al procedimento finalizzato al rilascio dell’autorizzazione al pozzo esplorativo, alla costruzione degli impianti e delle infrastrutture connesse alle attività di perforazione. Ora il decreto Sblocca Italia non fa più menzione degli Enti locali”.

ha spiegato al Corriere della Sera Enzo Di Salvatore, docente di Diritto Costituzionale dell’Università di Teramo.

L’obiettivo, non dichiarato ma chiarissimo nei numeri dello Sblocca Italia e delle richieste in pendenza al Ministero dello Sviluppo Economico (perchè non al Ministero dell’Ambiente? Altra questione molto interessante), 129mila barili di petrolio al giorno dagli attuali 80mila: Eni, Total, Mitsui, Shell, Edison, Apennin Energy e tante altre, tutte pronte a gettarsi come falchi sul petrolio lucano.

Con buona pace della tutela di un patrimonio ambientale, sociale, culturale ed enogastronomico che se ben sfruttato potrebbe essere si una opportunità di sviluppo di una regione rimasta ferma, per molti aspetti, ai tempi di Carlo Levi.

A.S.

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