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Ci sono voluti più di cinque anni, da quel maledetto 20 aprile 2010 in cui dalla piattaforma petrolifera Deepwater Horizon iniziò un massiccio sversamento di petrolio nelle acque del Golfo del Messico, perché la British Petroleum fosse chiamata a rispondere, quantomeno economicamente, del danno arrecato alla fauna ittica, all’ecosistema, all’economia piscatoria e alla salute di tutti coloro che si affacciano sull’area interessata da quella che fu ribattezzata la “marea nera”.
Bp dovrà risarcire 18,7 miliardi di dollari agli “stati del Golfo” degli Usa colpiti dal disastro ambientale, vale a dire Florida, Alabama, Mississipi e Louisiana, ai quali si aggiungeranno 400 entità governative locali.
Il risarcimento è – secondo il dipartimento di Giustizia americano – il più ingente con una singola entità, nella storia americana. Anche perché la portata dello sversamento è stata da record: si calcola che sia stata riversata in mare una quantità di petrolio 10 volte superiore a quella del disastro della Exxon Valdez del 1989.
I pagamenti saranno dilazionati in 18 anni e una cifra di 5 miliardi e mezzo di dollari servirà come penale per il Clean Water Act.
L’accordo risolve le principali responsabilità legate al tragico incidente. Per gli Stati Uniti e in particolare per il Golfo si tratta di un’entrata significativa che nel corso degli anni contribuirà a ripristinare le risorse naturali e ripagherà per le perdite dovute alla fuoriuscita di petrolio,
ha dichiarato Bob Dudlye, dirigente di Bp.
L’esplosione della Deepwater Horizon uccise 11 operai e provocò una fuoriuscita di greggio durata tre mesi. Ai danni provocati dall’incidente si sommarono quelli causati nelle operazioni di contenimento della marea, con l’utilizzo di disperdenti chimici altamente cancerogeni come il Corexit.
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