[blogo-video id=”161089″ title=”Greenpeace, blitz a Milano contro Mareblu” content=”” provider=”askanews” image_url=”http://engine.mperience.net/cdn/static/img/tmnews/20151215_video_18012199.jpg” thumb_maxres=”0″ url=”20151215_video_18012199″ embed=”PGRpdiBpZD0nbXAtdmlkZW9fY29udGVudF9fMTYxMDg5JyBjbGFzcz0nbXAtdmlkZW9fY29udGVudCc+PHNjcmlwdCB0eXBlPSJ0ZXh0L2phdmFzY3JpcHQiIHNyYz0iaHR0cDovL2VuZ2luZS5tcGVyaWVuY2UubmV0L0VuZ2luZVdpZGdldC9zY3JpcHRzL3dpZGdldF8xIj48L3NjcmlwdD48ZGl2IGNsYXNzPSJtcGVfd2lkZ2V0IiBkYXRhLW1wZT0ndHlwZT1wbGF5ZXJ8YXBwSWQ9MTl8dGFyZ2V0SWQ9MjAxNTEyMTVfdmlkZW9fMTgwMTIxOTl8cGxheWVyT3B0aW9ucz17ImF1dG9wbGF5Ijoibm9uZSIsImFkdlVSTCI6Imh0dHA6Ly9vYXMucG9wdWxpc2VuZ2FnZS5jb20vMi92aWRlby5ibG9nby5pdC9hc2thbmV3cy9wbGF5ZXJAeDUwIiwidXNlSW1hU0RLIjp0cnVlfSc+PC9kaXY+PHN0eWxlPiNtcC12aWRlb19jb250ZW50X18xNjEwODl7cG9zaXRpb246IHJlbGF0aXZlO3BhZGRpbmctYm90dG9tOiA1Ni4yNSU7aGVpZ2h0OiAwICFpbXBvcnRhbnQ7b3ZlcmZsb3c6IGhpZGRlbjt3aWR0aDogMTAwJSAhaW1wb3J0YW50O30gI21wLXZpZGVvX2NvbnRlbnRfXzE2MTA4OSAuYnJpZCwgI21wLXZpZGVvX2NvbnRlbnRfXzE2MTA4OSBpZnJhbWUge3Bvc2l0aW9uOiBhYnNvbHV0ZSAhaW1wb3J0YW50O3RvcDogMCAhaW1wb3J0YW50OyBsZWZ0OiAwICFpbXBvcnRhbnQ7d2lkdGg6IDEwMCUgIWltcG9ydGFudDtoZWlnaHQ6IDEwMCUgIWltcG9ydGFudDt9PC9zdHlsZT48L2Rpdj4=”]
Greenpeace ha dato vita a un blitz notturno nel centro di Milano. Gli attivisti della più nota associazione ambientalista del mondo hanno proiettato immagini e animazioni grafiche su alcuni edifici-simbolo del capoluogo lombardo, come il Castello Sforzesco, San Babila e Piazzale Loreto per denunciare l’azienda Mareblu, accusata di praticare la pesca distruttiva e di non rispettare gli impegni presi.
“Due anni fa Mareblu si era impegnato per una pesca 100% sostenibile, ma ad oggi solo nello 0,2% dei suoi prodotti è presente tonno pescato con metodi selettivi come la pesca a canna questa condotta irresponsabile sta svuotando il mare”
spiega Giorgia Monti, responsabile della campagna Mare di Greenpeace Italia.
Mareblu è uno dei marchi del colosso mondiale Thai Union che negli ultimi mesi è stato oggetto di numerose inchieste giornalistiche in merito alle violazioni dei diritti dei lavoratori. Sulle barche della Thai Union (che pesca nelle acque asiatiche per conto della Nestlé) viene praticata la schiavitù. Tailandesi, cambogiani e Birmani, molto spesso molto giovani sono venduti ai capitani dei battelli da pesca.
I produttori locali che lavorano per le imprese straniere esigono dai loro lavoratori delle prestazioni lavorative che arrivano fino a venti ore al giorno, il tutto, secondo quanto riferisce Le Figaro, per un salario irrisorio e con il rischio di essere picchiati se non riescono a sostenere i ritmi di lavoro.
L’ufficio di avvocati Hagens Berman ha depositato un esposto contro Nestlé in un tribunale californiano. La multinazionale – che utilizza il pescato non per l’alimentazione umana, ma per quella animale – è accusata di sostenere coscientemente la schiavitù. Contattata da Le Figaro, Nestlé ha negato di favorire il lavoro forzato: “Noi imponiamo ai nostri fornitori di rispettare tanto i diritti dell’uomo che le leggi sul lavoro”.
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