NEAR ALTAMIRA, BRAZIL - JUNE 15: The Xingu River flows near the area where the Belo Monte dam complex is under construction in the Amazon basin on June 15, 2012 near Altamira, Brazil. Belo Monte will be the world?s third-largest hydroelectric project and will displace up to 20,000 people while diverting the Xingu River and flooding as much as 230 square miles of rainforest. The controversial project is one of around 60 hydroelectric projects Brazil has planned in the Amazon to generate electricity for its rapidly expanding economy. While environmentalists and indigenous groups oppose the dam, many Brazilians support the project. The Brazilian Amazon, home to 60 percent of the world?s largest forest and 20 percent of the Earth?s oxygen, remains threatened by the rapid development of the country. The area is currently populated by over 20 million people and is challenged by deforestation, agriculture, mining, a governmental dam building spree, illegal land speculation including the occupation of forest reserves and indigenous land and other issues. Over 100 heads of state and tens of thousands of participants and protesters will descend on Rio de Janeiro, Brazil, later this month for the Rio+20 United Nations Conference on Sustainable Development or ?Earth Summit?. Host Brazil is caught up in its own dilemma between accelerated growth and environmental preservation. (Photo by Mario Tama/Getty Images)
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Sono 185 gli ambientalisti uccisi nel 2015. Un anno nero per i difensori dell’ambiente, tanto più se si pensa all’assunzione di responsabilità – quantomeno di facciata – delle nazioni che hanno siglato l’accordo della Cop21 di Parigi e all’enciclica papale Laudato Si’.
Proprio nell’anno in cui si è più parlato di ambiente e di cambiamenti climatici, il numero degli ambientalisti uccisi dalle ecomafie e dai poteri forti è aumentato a dismisura rispetto al passato recente: 185 morti.
L’escalation è evidente: nel 2013 le vittime furono 92 e nel 2014 116. In appena due anni la cifra è raddoppiata.
Per gli ambientalisti e per le popolazioni indigene che lottano per la salvaguardia del proprio territorio, delle foreste e dei corsi d’acqua il 2015 è stato un anno da incubo.
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Le cifre sono quelle del rapporto On Dangerous Ground stilato dall’ong Global Witness, specializzata nelle denunce di conflitti, corruzioni e violazioni dei diritti dell’uomo associati allo sfruttamento di risorse naturali.
Gli assassinii sono stati compiuti in 16 Paesi. A fare la parte del leone in questa poco onorevole classifica è il Brasile con 50 omicidi compiuti nel 2015. A seguire ci sono le Filippine (33 morti), la Colombia (26), il Peru e il Nicaragua (12), la Repubblica Democratica del Congo (11), il Guatemala (10) e l’Honduras (8), paese in cui è stata assassinata, all’interno della propria abitazione, nello scorso mese di marzo, l’attivista Berta Caceres.
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I numeri sono da brivido: un omicidio ogni due giorni.
Naturalmente i membri di Global Witness sottolineano come si tratti di cifre su casi documentati e verificati, ma il numero potrebbe essere molto più elevato.
Nella maggior parte dei casi gli omicidi avvengono in conflitti associati all’estrazione mineraria, al bracconaggio, alle attività agro-industriali, forestali e idroelettrica.
Gli autori di questi omicidi sono perlopiù miliziani di gruppi paramilitari (16 casi documentati), membri dell’esercito (13), della polizia (11) o di servizi di sicurezza privati (11).
Da una parte i difensori dei beni comuni, dall’altra quelli degli interessi privati. Le popolazioni indigene sono le più vulnerabili: il 40% delle vittime del 2015 apparteneva a comunità indigene.
Nell’Amazzonia brasiliana si stanno raggiungendo livelli di violenza senza precedenti.L’80% della legna proveniente dal Brasile è sfruttata illegalmente e alimenta un quarto dei tagli illegali fatti in tutto il mondo. Molte delle vittime brasiliane appartengono proprio a quelle comunità che si battono contro questo tipo di sfruttamento.
Via | Le Monde | Global Witness
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