Non è ancora stato approvato dal Congresso americano, e forse non lo sarà mai, ma il nuovo budget federale proposto dall’amministrazione Trump, che taglia del 75% i fondi dell’Energy Department per la ricerca pubblica su batterie e auto elettriche, sta già spargendo il panico tra i ricercatori a stelle e strisce. Va detto, per correttezza, che tutto il Dipartimento subisce pesanti tagli. Anche le fossili piangono, ma le fossili sono il passato e la ricerca deve puntare soprattutto sul futuro.
Andando a spulciare la proposta di revisione del budget si scopre, ad esempio, che i fondi per la ricerca avanzata sulle batterie per auto elettriche passano dai 140 milioni di dollari del 2017 ad appena 36 milioni nel 2018.
[img src=”https://media.ecoblog.it/3/3c9/trump-tagli-fondi-batterie-auto-elettriche.jpg” alt=”trump taglia i fondi pubblici per la ricerca sulle batterie per auto elettriche” size=”large” id=”171164″]
Non si salvano neanche i progetti scientifici di più alto livello, come quelli dell’Argonne National Laboratory di Chicago e quelli dell’ARPA-E, un incubatore di alte tecnologie applicate agli accumuli di energia. Entrambi i laboratori si vedono azzerare i fondi.
L’agenzia di stampa Axios rivela che tra i ricercatori serpeggia rabbia e sconforto: Claire Curry, una ricercatrice di Bloomberg New Energy Finance, ha dichiarato ad Axios che le compagnie asiatiche probabilmente prenderanno la palla al balzo per dominare il settore della ricerca sulle batterie e continuare a dominare il mercato. Tuttavia, afferma la stessa ricercatrice, non è affatto detto che la proposta di revisione del budget passi il vaglio del Congresso perché negli USA la ricerca gode di buoni appoggi politici, anche grazie all’elevata ricaduta occupazionale (ben diffusa su tutto il territorio degli Stati Uniti) che porta con sé.
Comunque vada questa vicenda, però, è ormai chiaro che il neopresidente Donald Trump non perde occasione per ribadire la sua avversità alla tutela dell’ambiente, al mondo dell’energia pulita e alla mobilità sostenibile. Un atteggiamento che è già costato al suo paese un declassamento al terzo posto nel Renewable Energy Country Attractiveness Index di Ernst&Young e che, temono in molti, potrebbe causare una fuga di cervelli, prima, e di investimenti, dopo.
Credit foto: Flickr
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