
Rischi di epatite nei bambini - ecoblog.it
Epatite B nei bambini: prevenzione, rischi e strategie per la tutela della salute. Tutto quello che c’è da sapere.
L’epatite B rappresenta una delle infezioni virali più insidiose che possono colpire l’organismo umano, soprattutto nei bambini. Il virus HBV (virus dell’epatite B) è responsabile di un’infiammazione epatica che può evolvere da una forma acuta a una cronica, con conseguenze potenzialmente gravi come cirrosi e tumore al fegato. In Italia, la vaccinazione obbligatoria nei neonati ha drasticamente ridotto i casi di infezione, ma la sorveglianza e la prevenzione rimangono fondamentali.
Che cos’è l’epatite B e perché colpisce soprattutto i bambini
L’epatite B è una malattia infettiva causata dal virus HBV, un virus a DNA molto resistente in grado di sopravvivere fino a sette giorni all’esterno dell’organismo. Il virus si trasmette principalmente attraverso il contatto con sangue infetto o liquidi biologici come sperma e secrezioni vaginali. Nei bambini, la modalità di contagio più rilevante è la trasmissione verticale da madre a figlio, soprattutto durante il parto o transplacentare.
Nei neonati e nei bambini piccoli, l’infezione tende a cronicizzarsi nel 90% dei casi, molto più che negli adulti, dove la percentuale di cronicizzazione si attesta intorno al 10%. Questo rende la prevenzione in età pediatrica una priorità sanitaria. L’epatite B cronica porta a un danno progressivo del fegato, con compromissione delle sue funzioni metaboliche e un aumento del rischio di sviluppare cirrosi e carcinoma epatocellulare. Inoltre, la presenza del virus può influire negativamente anche a livello neurologico, a causa dell’accumulo di tossine non eliminate dal fegato.

L’infezione da epatite B nei bambini è spesso asintomatica, soprattutto nei primi anni di vita. Solo circa l’1% dei bambini sotto l’anno di età manifesta sintomi evidenti, che aumentano progressivamente con l’età: tra 1 e 5 anni si arriva al 5-15%, mentre oltre i 5 anni la sintomatologia è presente nel 30-50% dei casi.
Quando presenti, i sintomi includono malessere generale, febbre lieve, nausea, vomito, ittero (colorazione giallastra di pelle e sclere oculari), dolori articolari e mal di testa. In alcuni bambini si osserva anche l’acrodermatite di Gianotti-Crosti, una caratteristica eruzione cutanea pruriginosa con piccole protuberanze rosse o violacee.
La diagnosi si basa su un esame del sangue che rileva la presenza dell’antigene di superficie del virus (HBsAg) e degli anticorpi specifici. L’incubazione del virus può durare in media 90 giorni, ma in alcuni casi si estende fino a sei mesi. Nei neonati di madri portatrici del virus, è fondamentale effettuare uno screening precoce durante la gravidanza per poter attuare una profilassi efficace.
Prevenzione e trattamento: il ruolo cruciale del vaccino
Attualmente non esiste una cura definitiva per l’epatite B, soprattutto nella sua forma acuta; il trattamento è rivolto a prevenire l’evoluzione verso lo stato cronico e a limitare i danni epatici in chi è già portatore. Nei casi di infezione cronica, si possono utilizzare farmaci antivirali specifici che rallentano la replicazione virale e riducono il rischio di complicazioni.
La vaccinazione rappresenta la principale arma preventiva. In Italia, la vaccinazione contro l’epatite B è obbligatoria per tutti i neonati dal 1991 e viene somministrata in tre dosi durante il primo anno di vita, all’interno della vaccinazione esavalente che protegge anche da altre malattie infettive (difterite, tetano, pertosse, poliomielite e Haemophilus influenzae di tipo B). Il vaccino è efficace nel 95% dei casi e ha contribuito a ridurre del 70% il rischio di tumore al fegato correlato all’epatite B.
Nei neonati nati da madri con infezione cronica, la profilassi prevede la somministrazione di una dose di immunoglobuline specifiche anti-HBV entro le prime 12 ore di vita, insieme alla prima dose di vaccino. Successivamente, si completano tre ulteriori dosi a distanza di settimane e mesi, per assicurare una protezione efficace e duratura.
Non è necessario programmare un cesareo in presenza di epatite B materna, poiché non sono stati dimostrati vantaggi rispetto al parto vaginale nel ridurre la trasmissione del virus. L’allattamento è consentito, purché la madre non presenti lesioni sanguinanti al capezzolo.