
Fitness tracker, i gadget che promettono di salvarti la vita -ecoblog.it
I fitness tracker stanno rivoluzionando il rapporto con il corpo, ma accanto ai benefici crescono ansia e ossessioni legate al monitoraggio costante.
Dai numeri record del mercato mondiale alle nuove dipendenze psicologiche, i fitness tracker sono diventati strumenti centrali nella gestione del benessere quotidiano. Tra crescita economica, generazioni sempre più attente alla salute e nuove patologie, la riflessione resta aperta. Nel 2012 lo scrittore Daniel Pennac pubblicava “Storia di un corpo”, un diario personale in cui ripercorreva la vita raccontando le trasformazioni fisiche dalla giovinezza fino alla vecchiaia. Oggi quel diario ha lasciato spazio a grafici, statistiche e notifiche. I fitness tracker, insieme a smartwatch e app dedicate, hanno trasformato il corpo in un flusso costante di dati numerici, pronti a misurare ogni aspetto della nostra salute.
La crescita del mercato globale e l’impatto sulle nuove generazioni
Secondo un’analisi di Fortune Business Insights, il mercato dei fitness tracker nel 2024 ha raggiunto un valore di 62 miliardi di dollari, con una previsione di crescita fino a 72 miliardi nel 2025 e oltre 290 miliardi nel 2032. Numeri che raccontano una diffusione sempre più capillare di questi dispositivi in tutto il mondo.
Negli Stati Uniti un cittadino su cinque li utilizza regolarmente. Apple e Fitbit restano i marchi leader, mentre in Giappone l’adozione è più marcata tra gli anziani, che li impiegano per monitorare frequenza cardiaca, qualità del sonno o gestione di malattie croniche. In Cina il mercato è dominato da marchi come Xiaomi e Huawei, capaci di offrire prodotti accessibili che hanno conquistato gli e-commerce. In Europa la crescita è spinta da una maggiore consapevolezza verso la prevenzione, con il dato dell’Inghilterra che sorprende: un quarto della popolazione adulta possiede un fitness tracker.

La diffusione è trainata soprattutto dalla Gen Z, spesso definita “la generazione più sana di sempre”. Secondo il World Economic Forum, già nel 2023 il 66% dei ragazzi nati tra la metà degli anni ’90 e il 2010 usava strumenti digitali per la salute, contro il 40% delle generazioni precedenti. Il 24% indossava dispositivi per monitorare sonno e attività fisica, il 18% seguiva piani di allenamento online e il 17% utilizzava app per controllare l’alimentazione. L’aspetto interessante riguarda anche la privacy: i giovani sono più propensi a condividere i propri dati con assicurazioni, cliniche e applicazioni, spesso in cambio di sconti o servizi aggiuntivi. Un comportamento distante da quello dei baby boomer e dei millennial, che tendono a condividere i dati solo con il proprio medico.
Benefici, ossessioni e nuove patologie legate al sé quantificato
Diversi studi confermano i vantaggi: una ricerca pubblicata su The Lancet ha dimostrato che chi indossa dispositivi indossabili compie mediamente 1.800 passi in più al giorno, cammina 40 minuti in più e aumenta l’attività intensa di circa 6 minuti quotidiani. Strumenti che stimolano quindi comportamenti salutari e aiutano a mantenere abitudini costanti. Allo stesso tempo emergono i rischi. Una ricerca della Journal of the American Heart Association segnala livelli più alti di ansia tra chi monitora costantemente la propria frequenza cardiaca. Su Reddit non mancano testimonianze di utenti che raccontano stress e dipendenza: “Se cammino senza il mio smartwatch mi sento male che i passi non siano stati registrati”, scrive un ragazzo. Altri parlano di ossessione per calorie e allenamenti, fino a decidere di abbandonare il dispositivo per recuperare serenità.
Il dibattito tocca anche la teoria economica. Secondo la legge di Goodhart, quando una metrica diventa un obiettivo, smette di essere un buon indicatore. Applicata al fitness, significa che i numeri registrati dal tracker rischiano di diventare più importanti del benessere reale. Da qui nascono disturbi come l’ortoressia, ossessione per il cibo sano, o l’ortosomnia, ansia legata alla qualità del sonno monitorata dai dispositivi. Il giornalista Gary Wolf, nel 2010, coniava il termine “quantified self” sulle pagine del New York Times, descrivendo la spinta crescente a misurare tutto di noi stessi. Un fenomeno che, come spiegano psicologi e terapeuti, può motivare ma anche disconnettere dal corpo reale. La domanda resta aperta: i fitness tracker stanno davvero rendendo la società più sana o ci stanno solo abituando a vivere in funzione dei dati?