
PFAS, la clamorosa retromarcia dell’Ue - ecoblog.it
L’aggiornamento sulla restrizione dei “forever chemicals” lascia fuori otto categorie d’uso e consente la produzione per l’export: ChemSec denuncia un passo indietro che mina salute e ambiente.
L’Agenzia europea per le sostanze chimiche (Echa) ha pubblicato un aggiornamento sulla proposta di restrizione dei PFAS, i cosiddetti “forever chemicals”, e la decisione ha sollevato dure critiche. Dopo anni di lavoro e migliaia di pagine di dossier, il percorso verso il divieto universale subisce una battuta d’arresto: otto categorie di utilizzo resteranno escluse, mantenendo aperto un canale di produzione e diffusione di sostanze tra le più persistenti e pericolose per l’ambiente. Secondo ChemSec, rete internazionale che promuove alternative più sicure alle sostanze chimiche tossiche, questa scelta rappresenta un “precedente inaccettabile” che rischia di compromettere la protezione di cittadini ed ecosistemi. I PFAS, già rilevati in acqua, suolo, alimenti e persino nel sangue umano, continueranno a circolare nonostante la strategia europea preveda la loro eliminazione graduale.
Le categorie escluse e l’escamotage dell’export extra-UE
Le categorie che l’Echa ha deciso di escludere dal divieto riguardano applicazioni di stampa, sigillatura, macchinari, usi medici, settore militare, esplosivi, tessuti tecnici e usi industriali generici. Si tratta di settori ampi, dove il ricorso ai PFAS è consolidato, ma anche in molti casi già sostituibile con alternative disponibili. Il nodo più controverso riguarda la produzione per l’esportazione verso Paesi extra-SEE. L’aggiornamento consente infatti ai produttori europei di continuare a immettere sul mercato globale i PFAS senza limiti temporali, indipendentemente dall’uso finale. Un “lasciapassare” che, di fatto, prolunga all’infinito la presenza dei forever chemicals, anche se destinati fuori dai confini europei.

Gli esperti di ChemSec ricordano che in Europa sono stati documentati 23.000 siti contaminati da PFAS, spesso in prossimità di impianti industriali. Consentire la produzione per l’export, spiegano, significa ripetere gli stessi errori che hanno già lasciato un’eredità di inquinamento e comunità locali danneggiate. A complicare il quadro c’è la scelta dell’Echa di suddividere la restrizione in più parti, riducendo la trasparenza del processo e limitando la capacità della Commissione europea di disporre di un quadro completo al momento della decisione finale. Una frammentazione che, per gli ambientalisti, indebolisce l’intero impianto normativo.
Alternative già disponibili e rischio di rallentare l’innovazione
ChemSec sottolinea che esistono già soluzioni sicure per molte delle categorie oggi escluse. Nel settore dei tessili tecnici, ad esempio, sono disponibili materiali certificati che garantiscono le stesse performance senza ricorrere ai PFAS. Ignorare queste possibilità significa non solo rallentare la transizione, ma anche penalizzare le aziende che hanno investito in ricerca e innovazione. Negli ultimi cinque anni, il mercato europeo ha visto crescere le alternative ai PFAS, con nuovi prodotti già commercializzati e altri in fase di sviluppo. Un divieto rigoroso, spiega la rete di esperti, avrebbe potuto posizionare l’Europa come leader nella competizione globale, stimolando l’innovazione e la sostenibilità.
L’aggiornamento dell’Echa, invece, rischia di favorire chi ha fatto pressione durante la consultazione pubblica senza fornire dati completi, lasciando irrisolte criticità come le deroghe a lungo termine, i controlli inefficaci sulle emissioni e la mancata valorizzazione delle alternative. Per ChemSec, la via d’uscita resta una sola: un divieto universale senza eccezioni. Ogni deroga rappresenta una falla che consente ai forever chemicals di continuare a diffondersi, compromettendo ambiente e salute pubblica per decenni.