
Ogni sorso di acqua in bottiglia è una bomba invisibile - ecoblog.it
Bere acqua minerale in bottiglia potrebbe esporre a un rischio molto più alto di ingestione di microplastiche rispetto a chi sceglie l’acqua del rubinetto.Una revisione scientifica mette in luce dati allarmanti e differenze tra marche.
Le microplastiche sono frammenti minuscoli che negli ultimi decenni hanno invaso ogni angolo del nostro ambiente: le respiriamo, le ingeriamo con gli alimenti e finiscono persino nell’acqua potabile. Un’ampia revisione scientifica, pubblicata sul Journal of Hazardous Materials da un gruppo di ricercatori della Concordia University di Montreal, ha messo in evidenza un dato sorprendente. Chi consuma abitualmente acqua in bottiglia può arrivare a ingerire fino a 90.000 particelle di plastica in più ogni anno rispetto a chi preferisce l’acqua del rubinetto. Il lavoro si è basato su un’analisi critica di circa 140 studi pubblicati tra il 2016 e il 2024, concentrandosi in particolare su 16 ricerche che hanno indagato il livello di contaminazione nelle bottiglie monouso. Lo scopo era duplice: misurare l’entità del problema e individuare le falle metodologiche che ancora oggi rendono difficile una valutazione uniforme dei rischi per la salute.
Cosa rivela la revisione internazionale
Gli studiosi hanno esaminato campioni provenienti da 16 Paesi, tra cui Italia, Francia, Germania, Stati Uniti, India, Brasile e Cina. Sono state analizzate diverse tipologie di acqua: minerale naturale, purificata, distillata, di sorgente e persino desalinizzata. I numeri parlano chiaro. In media, chi beve acqua del rubinetto ingerisce ogni anno tra 39.000 e 52.000 particelle di microplastica, mentre chi consuma acqua confezionata arriva a circa 90.000 in più. Le bottiglie di plastica non sono contenitori neutri. L’attrito, le aperture e chiusure ripetute, l’esposizione al sole, la compressione durante il trasporto e persino il tappo (soprattutto se prodotto in polietilene ad alta densità) contribuiscono al rilascio di micro e nanoplastiche. La differenza tra marche è evidente.

Tra le più contaminate, secondo lo studio, spiccano Nestlé Pure Life, con oltre 10.000 particelle per litro, e Bisleri in India, con circa 6.000 particelle per litro. In Italia, invece, l’acqua San Pellegrino ha mostrato valori decisamente inferiori rispetto ad altri marchi dello stesso gruppo, segno che packaging e processi di produzione influenzano fortemente i livelli di contaminazione. Anche marchi globali come Danone, PepsiCo e Coca-Cola hanno presentato dati variabili a seconda del lotto e del tipo di bottiglia. La revisione ha quindi confermato ciò che si sospettava già: le bottiglie monouso, spesso considerate più sicure, possono rilasciare quantità significative di microplastiche nell’acqua che beviamo.
Rischi per la salute e necessità di nuove regole
Il problema non riguarda solo l’ambiente, ma direttamente la salute umana. Le micro e soprattutto le nanoplastiche sono così piccole da poter attraversare barriere biologiche. Possono penetrare nei globuli rossi, raggiungere i linfonodi e accumularsi nei tessuti. Le ricerche le collegano a fenomeni di infiammazione cronica, alterazioni del microbiota intestinale, neurotossicità, problemi riproduttivi e, in alcuni casi, persino a un aumento del rischio di tumori. Un aspetto critico emerso dalla revisione riguarda la mancanza di protocolli condivisi per l’analisi. Ogni laboratorio utilizza tecniche differenti e questo rende difficile confrontare i risultati e stabilire valori di riferimento. Gli autori hanno sottolineato l’urgenza di sviluppare metodi standardizzati e condurre studi su scala più ampia per avere dati affidabili.
Dal punto di vista normativo, emerge la necessità di fissare limiti chiari di contaminazione e ridurre la dipendenza dalla plastica monouso. L’uso di materiali alternativi, più sicuri e meno inquinanti, è uno dei punti che i ricercatori considerano essenziali per limitare l’esposizione. Alla luce di quanto emerso, il consiglio rimane semplice: quando possibile, è preferibile scegliere l’acqua del rubinetto, non solo per ragioni ambientali ma anche per ridurre l’ingestione quotidiana di microplastiche.