ECOLOGIA

Ancoraggio consapevole: tecniche e tecnologie per proteggere i fondali marini e la posidonia

L’ancoraggio di un’imbarcazione è una manovra nautica di routine, eppure le sue conseguenze ecologiche sono spesso sottovalutate.

Un’ancora gettata senza cognizione di causa può devastare in pochi istanti porzioni di fondale marino, in particolare le preziose praterie di Posidonia oceanica. La pratica dell’ancoraggio consapevole nasce dalla necessità di conciliare le esigenze della navigazione da diporto con la tutela di un ecosistema vitale per la salute del Mar Mediterraneo.

Tale approccio oltre ad essere una scelta etica, definisce un insieme di procedure, conoscenze e strumenti tecnologici che ogni comandante dovrebbe padroneggiare. Comprendere la biologia della Posidonia, analizzare gli effetti meccanici degli ormeggi e adottare le corrette procedure operative sono i pilastri di una navigazione che rispetta il mare. L’evoluzione tecnologica, inoltre, mette a disposizione soluzioni avanzate per identificare e circumnavigare le aree sensibili, in modo da trasformare l’obbligo di tutela in un’operazione sicura e pianificabile.

Il ruolo Ecologico delle praterie di Posidonia Oceanica

La Posidonia oceanica non è un’alga, bensì una pianta superiore, dotata di radici, fusto (rizoma) e foglie, che forma estese praterie sottomarine, uno degli habitat più produttivi e complessi del Mediterraneo. La sua funzione ecologica è poliedrica, in quanto, attraverso la fotosintesi clorofilliana, le praterie di Posidonia liberano enormi quantità di ossigeno, e contribuiscono in modo significativo all’ossigenazione delle acque marine, ragione per cui sono spesso definite il “polmone del Mediterraneo“. I suoi rizomi, che crescono sia in orizzontale che in verticale, creano una struttura compatta chiamata “matte”, un intreccio di radici e sedimento che stabilizza il fondale e contrasta l’erosione costiera. Le lunghe foglie, invece, smorzano l’energia del moto ondoso, così da proteggere i litorali.

Le praterie sono anche un’area di rifugio, di riproduzione e di nutrimento per centinaia di specie marine. Tra le sue foglie trovano riparo avannotti, crostacei e molluschi, che a loro volta sostengono la catena alimentare di specie ittiche di interesse commerciale. La sua presenza è un bioindicatore della qualità delle acque: un posidonieto sano e rigoglioso testimonia un ambiente marino in buone condizioni.

La crescita di questa pianta è estremamente lenta, dell’ordine di pochi centimetri all’anno, e una prateria distrutta impiega secoli per rigenerarsi. La sua vulnerabilità fa sì che ogni danno meccanico, come quello causato da un’ancora, diventi un evento ecologicamente grave e quasi sempre irreversibile.

Impatti meccanici dell’ancoraggio sui Fondali Marini

L’azione di un’ancora e della sua catena sul fondale è duplice e ugualmente distruttiva, soprattutto sopra un posidonieto. La prima fase critica è quella dell’impostazione, in cui l’ancora ara il fondale prima di fare presa, e sradica i rizomi della Posidonia, fino a creare solchi profondi nella matte. Si tratta di un danno iniziale che è solo l’inizio di un processo più esteso, infatti una volta che l’imbarcazione è alla fonda, la sua rotazione attorno al punto di ancoraggio, indotta dal vento e dalle correnti, provoca il brandeggio della catena. La catena, pesante e spesso lunga decine di metri, spazza il fondale con un effetto falce, che taglia le foglie e sradica i fasci di piante in un’area circolare.

Un singolo ancoraggio può così distruggere decine di metri quadrati di prateria, e il danno non si limita alla perdita di copertura vegetale. L’esposizione dei rizomi e la frammentazione della matte innescano processi erosivi che possono portare alla regressione dell’intera prateria. Le aree danneggiate diventano “matte morte“, substrati instabili incapaci di sostenere nuova vita e suscettibili all’erosione. La ripetizione di azioni del genere in baie e ridossi frequentati dal diporto nautico porta a una desertificazione progressiva dei fondali, con una perdita netta di biodiversità e di servizi ecosistemici.

Porto turistico al tramonto con barche e yacht fermi sull’acqua calma. – www.ecoblog.it

Pratiche di ancoraggio a basso impatto ambientale

Eseguire un ancoraggio consapevole richiede pianificazione e osservazione, a partire dalla scelta del punto di fonda. È imperativo evitare di gettare l’ancora sulle praterie di Posidonia e scegliere invece fondali sabbiosi o fangosi, che si possono riconoscere a seconda del colore dell’acqua: le macchie scure indicano solitamente la presenza di Posidonia o di scogli, mentre le aree più chiare e uniformi sono tipiche dei fondali sabbiosi.

Le carte nautiche, sia tradizionali sia elettroniche, riportano spesso la natura del fondale e le aree protette, così come l’ecoscandaglio, è un altro strumento valido per analizzare la tipologia di substrato sotto l’imbarcazione.

Una volta individuata un’area idonea, la manovra deve essere eseguita con precisione. Si deve approcciare il punto scelto controvento, fermare l’imbarcazione e calare l’ancora in verticale, invece di lanciarla. La quantità di catena da filare (calumo) deve essere adeguata alla profondità e alle condizioni meteomarine, solitamente da 3 a 5 volte il fondale. Dopo aver dato fondo, è necessario verificare che l’ancora abbia fatto presa e che l’imbarcazione non stia arando.

Ciò si può controllare tramite dei rilevamenti a terra o con l’allarme di ancoraggio del GPS. La stessa attenzione va posta durante il salpaggio: l’imbarcazione deve essere portata sulla verticale dell’ancora con l’ausilio del motore prima di iniziare a recuperare la catena, così da alzarla dal fondale senza trascinarla.

Tecnologie a supporto della Navigazione Sostenibile

La tecnologia moderna ha creato strumenti sofisticati per una navigazione rispettosa degli habitat marini. I chartplotter di ultima generazione integrano cartografie dettagliate che evidenziano le Aree Marine Protette e le zone a tutela speciale, dove vigono divieti specifici di ancoraggio. Le applicazioni di navigazione per tablet e smartphone mettono a disposizione mappe collaborative e dati batimetrici ad alta risoluzione, che aiutano a identificare la natura dei fondali.

Tuttavia, le mappe statiche possono non essere sufficienti a prevenire errori involontari. Per una gestione proattiva della rotta e della sosta, i sistemi di monitoraggio GPS di barche e yacht, con mappe sempre aggiornate, elevano il livello di protezione. Si tratta di piattaforme software evolute che danno modo di visualizzare le zone di divieto e di implementare “geofence”, ovvero recinzioni virtuali.

Il sistema avvisa in tempo reale il comandante qualora l’imbarcazione si avvicini o entri in un’area interdetta all’ancoraggio, in modo da prevedere l’errore umano e il conseguente danno ambientale. Si tratta di una funzionalità molto utile in aree di navigazione poco familiari o durante le manovre notturne, che agirà come un copilota digitale per la sostenibilità.

Sistemi di ancoraggio innovativi e alternativi

La risposta alla necessità di proteggere i fondali oltre a risiedere nella corretta esecuzione delle manovre, è anche nello sviluppo di soluzioni alternative, tra cui la più diffusa ed efficace è l’installazione di gavitelli e boe di ormeggio ecocompatibili. Si tratta di sistemi che prevedono corpi morti posati sul fondale (spesso su aree sabbiose o già degradate) a cui le imbarcazioni possono ormeggiarsi. La loro gestione e diffusione nelle aree a più alta frequentazione nautica è una strategia vincente per la conservazione dei posidonieti.

Parallelamente, la ricerca si concentra sulla progettazione di ancore a basso impatto, con design innovativi che mirano a migliorare la tenuta su fondali sabbiosi, e a ridurre la necessità di arare per minimizzare la penetrazione nel substrato. Anche se non eliminano il rischio, possono contribuire a ridurlo. Per le unità navali di maggiori dimensioni o tecnologicamente avanzate, i sistemi di posizionamento dinamico (DPS) sono una realtà consolidata.

Sistemi del genere utilizzano propulsori controllati da un computer per mantenere la posizione della nave senza l’uso di ancore, così da annullare di fatto ogni contatto con il fondale. Sebbene oggi sia una tecnologia complessa e costosa, la sua evoluzione potrebbe far sì che un giorno sia accessibile anche al diporto. La combinazione di conoscenza, pratica e tecnologia è la via maestra per un futuro in cui la passione per il mare e la sua conservazione navigano sulla stessa rotta.

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