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Inquinamento

Ilva, dai sequestri alla politica, in cerca di soluzioni per la siderurgia italiana

Salvare l’Ilva significa salvare la siderurgia italiana, ma a quale prezzo?

Il maxisequestro di venerdì scorso ai danni della controllante di Ilva Spa Riva Fire, 8,1 miliardi sigillati dal provvedimento del gip tarantino Patrizia Todisco, ha ingarbugliato ulteriormente una matassa già particolarmente complessa: le dimissioni dell’intero Cda Ilva inoltre non sono che la foglia di fico del problema, un pilatesco tentativo di affermare l’estraneità dei dirigenti del colosso siderurgico.

Il problema è che Ilva è i Riva e i Riva sono e restano l’Ilva, che a sua volta non può (e non deve) cancellare il suo marchio statale, il suo vero nome: Italsider. Secondo l’Ad e il presidente dimissionari dell’Ilva, Enrico Bondi e Bruno Ferrante, il nuovo intervento della magistratura rischia di compromettere l’approvazione del piano industriale 2013-2018 che avrebbe permesso il rispetto di tutti gli obblighi dell’Aia, ma anche questa è una storia già sentita.

Come già sentita è l’acqua che scorre incessante sotto le mani del Presidente della Regione Puglia Nichi Vendola, che è passato da scrivere editoriali salvifici su Il Ponte (edito proprio dai Riva) al non ritenere i suoi ex interlocutori come “attendibili”.

La verità è che su Taranto, sull’Ilva, le idee sono poche e mal organizzate: le inchieste come quella di Milano, sui 1,2 miliardi trasferiti all’estero e fatti rientrare scudati in Italia (proprio la cifra prevista per le bonifiche, guarda un po’), hanno fatto crollare la credibilità dell’azienda nei confronti dello Stato, lo stesso che tuttavia permette (almeno nel suo potere esecutivo) ed ha permesso in passato (a livello legislativo) di non cambiare di una virgola i propri comportamenti. Anche durante l’applicazione dell’Aia.

C’è una relazione, redatta da Ispra, in particolare che è una bomba ad orologeria settata in ritardo (solo oggi se ne sono ricordati): Ilva continua ad inquinare, Ilva continua a ricattare con la dicotomia “lavoro/salute”. Eppure, da altre parti d’Italia, ci sono processi che si chiudono, condanne che fioccano, risarcimenti che partono (come nel caso Eternit o Thyssen).

Ieri, davanti al premier Enrico Letta, al vice Angelino Alfano, al sottosegretario alla presidenza del Consiglio Filippo Patroni Griffi, ai ministri di Sviluppo Economico e Ambiente, Flavio Zanonato e Andrea Orlando, e al governatore della Puglia Nichi Vendola, la situazione era sostanzialmente congelata, ferma: cosa fare di un colosso senza piano industriale (doveva essere consegnato due mesi fa), con grossi problemi economici, che continua ad inquinare, per il quale nessun provvedimento (d’urgenza e non) ha sortito alcun effetto, che si trova sotto indagine per una colossale truffa, evasione fiscale, inquinamento e disastro doloso?

Sulle inadempienze dell’azienda la legge permetterebbe di sanzionare con penali fino al 10% del bilancio, in sostanza un precommissariamento di cui è competente il prefetto: sarà questo il vero inizio della fine?

Credo che l’amministrazione straordinaria sia la formula che consente un vero e proprio commissariamento: per salvare l’azienda, far partire le bonifiche e i processi di ambientalizzazione occorre affidarli a un organo dello Stato.

E’ la posizione di Vendola, che tuttavia fino ad oggi ha fatto ben poco, vista la situazione. La creazione di un comitato di cogestione con azienda, rappresentanti dei lavoratori, ministero dell’Ambiente e tribunale, fino al completamento delle bonifiche è un’ipotesi che comincia invece a serpeggiare tra le stanze di Palazzo Chigi e che permetterebbe, secondo l’ex liquidatore al Comune di Taranto Francesco Boccia, oggi Presidente della commissione Bilancio della Camera, di uscire dallo stallo che le iniziative giudiziarie accumulatesi hanno portato (non in quanto tali, ma a causa dei comportamenti di Ilva).

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