Fino a un paio di decenni fa il Pinot nero veniva vendemmiato fra la fine di ottobre e i primi giorni di novembre, oggi lo si vendemmia a settembre. Fra le montagne dell’Alto Adige i cambiamenti climatici lasciano il segno e lo fanno a una velocità spaventosa, tanto che in una tavola rotonda organizzata negli scorsi giorni dal Centro di sperimentazione si è parlato di un possibile raddoppio della superficie coltivata nella Val d’Isarco, proprio grazie ai cambiamenti climatici.
Attualmente la superficie adibita alla viticoltura ammonta a 5.300 ettari ma la percentuale dei vini bianchi (Pinot Grigio, Gewürztraminer e Chardonnay) è del 55%, mentre quella dei vini rossi è del 45% (Schiava, Lagrein e Pinot Nero). La produzione annua si attesta sui 350mila ettolitri di vino così ripartiti: 70% dalle cooperative, 25% dall’associazione delle tenute vinicole e il 5% da vignaioli indipendenti.
Che la viticoltura si stia spostando sempre più a Nord lo aveva già messo in luce Andrea Spinelli Barrile in un post di qualche tempo fa: alla “settentrionalizzazione” del vino si accompagna anche una progressiva anticipazione della maturazione e, dunque, della vendemmia. Nelle terre del Barolo, per esempio, si è passato dall’ottobre di venti anni fa al settembre di oggi.
Naturalmente ogni regione rappresenta un caso a parte e come tale va trattata. L’Alto Adige è un esempio di come i vini possano crescere a livello qualitativo senza però arrivare a cifre troppo esose, proprio grazie alla maggiore disponibilità “innescata” dai cambiamenti climatici. E di vitigni simili ce ne sono parecchi nell’estremo nord del nostro Paese, come, per esempio, quelli di Morgex (Valle d’Aosta) che, a quota 1200 metri, sono i più alti d’Europa. Ora sono l’eccezione che fa notizia, fra qualche decennio, in un’Europa sempre più calda saranno probabilmente la norma.
Via | Alto Adige
Foto © Getty Images
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