Ieri Greenpeace ha preso d’assalto una piattaforma petrolifera della Exxon Mobil destinata alla trivellazione nell’artico russo.
Per protestare contro i gravissimi di devastazione ambientale in un ecosistema fargile come quello polare, l’organizzazione ambientalista ha scelto proprio il venticinquesimo anniversario del naufragio della Exxon Valdez, uno dei più gravi disastri industriali-tecnologic della storia.
Nel marzo del 1989 la superpetroliera della Exxon urtò la scogliera al largo delle coste dell’Alaska, diperdendo nell’ambiente 40 milioni di litri di greggio, uccidendo 250 mila uccelli marini, 2800 lontre, 300 foche, 250 aquile di mare, 22 orche oltre ad un’intera generazione di salmoni e aringhe, con l’effetto secondario di mettere in ginocchio l’attività di pesca in tutta l’Alaska.
«La ExxonMobil ha in programma di trivellare nelle regioni più remote dell’Artico qest’anno», afferma Erlend Tellnes, che segue la campagna artica di Greenpeace . «E’ una follia, se qualcosa dovesse andare storo, sarebbero isolati nell’estreno nord, con i soccorsi a miglaia di km di distanza. Dobbiamo fermare le compagnie petrolifere prima che causino un inevitabile incidente nell’Artico dove a causa delel condizioni estreme sarebbe impossibile effettuare una bonifica.»
Il disastro della Exxon Valdez sta ancora influenzando l’ecosistema dell’Alaska dopo 25 anni, con tracce di idrocarburi sulle spiagge e nel guscio dei mollusci.
Exxon per questo disastro ha finora pagato “solo” 507 milioni di dollari (più 250 pagati dalle assicurazioni), asolutamente un’inezia per la multinaizonale, visto che rappresenta circa un millesimo del suo fatturato annuo.
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