A mourner holds up a portrait of her missing relative (L), presumed dead following the April 24 Rana Plaza garment building collapse, and a bone fragment (R) believed to be from one of the many unidentified remains of killed garment workers, at the scene on the one hundredth-day anniversary of the disaster in Savar, on the outskirts of Dhaka, on August 2, 2013. Hundreds of garment workers staged demonstrations at the site of Bangladesh's worst industrial disaster, demanding compensation for the survivors and a full account of the missing labourers of the April 24, 2013 factory building collapse that killed 1,129 people. AFP PHOTO/ Munir uz ZAMAN (Photo credit should read MUNIR UZ ZAMAN/AFP/Getty Images)
Una brutta storia di concessioni edilizie date senza le referenze necessarie: piani costruiti su un edificio le cui fondamenta appoggiavano su una palude e perciò senza rispettare le più elementari norme sulla staticità; generatori di elettricità messi a appesantire ulteriormente la struttura: è così che il Rana Plaza è collassato a causa dell’eccessivo peso trascinando con se la vita di 1135 persone e ferendone gravemente oltre 2000 quel 26 aprile del 2013. A nulla sono valsi gli avvertimenti di chi ogni giorno per ore e ore ci stava dentro a lavorare: il padrone, oggi inquisito, Mohammad Sohel Rana, faceva pressione sugli operai forte del fatto che era un ex poliziotto.
Il business è il business e così quella mastodontica struttura nel centro di Dacca era cresciuta improvvisamente e velocemente: piani aggiuntivi tirati su in fretta e furia per ospitare altre fabbriche tessili; piani costruiti senza rispettare la staticità e la sicurezza, ma sull’onda della speculazione, per impiegare povera gente per pochi dollari al giorno cuciva e tagliava incessantemente la moda low cost per i mercati occidentali. Ma con una scia di sangue spaventosa che ha toccato 40 marchi della moda internazionale. A un anno da quella tragedia bel pochi obiettivi di risarcimento sono stati raggiunti.
Dopo un anno iniziano a emergere i contorni di questa terribile tragedia ancora tutta da raccontare e da risarcire. Per ora la Commissione Anti Corruzione del Bangladesh ha accusato 18 persone di avere violato le regole di sicurezza nella costruzione dell’edificio Rana Plaza. L’immobile ospitava diverse fabbriche tessili per cui le accuse sono indirizzate a uno dei proprietari del palazzo, Mohammad Sohel Rana, ai suoi genitori, al sindaco della città, agli ingegneri e a tre proprietari delle fabbriche ospitate nell’edificio, accusati, secondo quanto riferito dal portavoce della Commissione Anti-Corruzione per:
La mancanza di permessi per costruire l’edificio o per trasformarlo in una fabbrica ospitante macchinari quali generatori.
In sostanza ha riferito il portavoce, gli impiegati del comune hanno comunque autorizzato la costruzione di piani aggiuntivi sebbene l’edificio non ne avesse le caratteristiche. Gli inquirenti hanno concluso che l’intera struttura è collassata sotto il peso dei nuovi piani e dei generatori.
Mohammad Sohel Rana, il proprietario, diremmo noi il palazzinaro, era già stato arrestato ad appena quattro giorni dal disastro mentre si stava dando alla macchia in India. Rana si è sempre difeso respingendo le accuse e ritenendo che i responsabili legali del tutto fossero i suoi genitori. Ma l’inchiesta della Commissione Anti-Corruzione ha evidenziato anche le sue responsabilità:
Le nuove ricerche hanno permesso di mettere a fuoco la sua responsabilità.
Per i 18 indagati si prospetta una pena di sette anni per violazione delle norme sull’edilizia e per “abuso di potere”. Ma gli inquirenti hanno aperto un secondo fascicolo per omicidio plurimo (se non strage) e la pena massima per questo secondo caso è la pena di morte.
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