Antartide, allarme dei biologi: a rischio la biodiversità

Oggi e domani si riuniscono a Napoli i biologi marini del Programma Nazionale di Ricerche in Antartide (Pnra): l’incontro, presso l’Istituto di Bioscienze e BioRisorse (Ibbr) del Consiglio Nazionale delle Ricerche (Cnr), ha al centro la difesa della biodiversità in Antartide.

Nel corso dell’incontro di oggi infatti, organizzato nell’ambito della Commissione Scientifica per le Ricerche in Antartide (Scar) e riguardante il programma sulla capacità adattamento e reazione dell’ecosistema antartico (AnT-Era), i biologi marini che studiano l’Antartide hanno lanciato un vero e proprio allarme biodiversità nell’estremo sud del mondo: a rischio sopravvivenza sono soprattutto i pesci con il sangue trasparente (Icefish), messi in pericolo dai cambiamenti climatici.

Sono proprio i processi in corso che concorrono all’innalzamento medio della temperatura terrestre, e più in generale proprio ai cambiamenti climatici, il principale oggetto dell’accusa dei biologi marini: secondo quanto afferma Guido di Prisco dell’Ibbr-Cnr le conseguenze potrebbero, nel giro di una decina d’anni, cominciare ad essere avvertite anche dagli esseri umani.

Oltre alla pesca fuori controllo per la produzione di mangimi, che devasta la biodiversità in Antartide, è l’aumento delle temperature ad essere sotto la lente d’ingrandimento degli scienziati: l’innalzamento di queste infatti provoca danni irreversibili al metabolismo di alcuni pesci. Già compromessi sarebbero, ad esempio, il Notothenia rossii e il Champsocephalus gunnari (che fa parte proprio della famiglia degli “icefish”).

Di Prisco, che in Antartide può vantare un’esperienza sul campo che conta ben 27 spedizioni, ha spiegato come le informazioni che è possibile estrarre dagli studi sui cambiamenti climatici in Antartide possono essere utilizzate anche a livello globale, proprio per contrastare l’innalzamento delle temperature:

“La protezione della biodiversità in Antartide dovrebbe diventare una priorità: l’aumento di temperatura, anche di pochi gradi, può condannare all’estinzione intere specie che hanno impiegato milioni di anni per adattarsi e resistere a condizioni estreme”.

ha spiegato il ricercatore, che ha esemplificato il problema parlando dei nutrienti, che le correnti marine trasportano in altri mari e che rappresentano la base della catena alimentare oceanica:

“Pensiamo al krill, un gamberetto di cui si cibano pesci, uccelli, balene e che vive soprattutto nelle acque polari. Se migrasse sarebbe un disastro senza limiti in certe zone, perché l’intera catena alimentare collasserebbe.”

A.S.

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