
TO GO WITH AFP STORY BY ELLA IDE - A picture shows the Ilva steel plant in Taranto on March 18, 2015. The site in Taranto in the Puglia region of southern Italy, which employs over 14,000 people, has been under special administration since 2013 when its owners, the Riva family, were accused of failing to prevent toxic emissions including carcinogenic particles from spewing out across the town. Italy's parliament approved on March 3, 2015 a government decree temporarily nationalising the country's loss-making Ilva steel plant, one of the most polluting in Europe, in the hope of finding a new owner. AFP PHOTO/ALFONSO DI VINCENZO (Photo credit should read ALFONSO DI VINCENZO/AFP/Getty Images)
La Corte europea dei diritti umani di Strasburgo ha rigettato il ricorso presentato dai legali della famiglia Giuseppina Smaltini, morta nel 2012 a causa di una meningite incurabile a causa dell’immunodeficienza causata dalla leucemia: secondo i giudici europei i legali non hanno saputo dimostrare il nesso causale fra le emissioni inquinanti degli stabilimenti Ilva e la leucemia che è stata diagnosticata alla donna nel 2006.
Dopo la sua morte, il marito e i figli avevano ottenuto dalla Corte di Strasburgo la possibilità di poter continuare l’azione contro l’Italia. Nel ricorso si sosteneva che le autorità avevano violato il diritto alla vita di Giuseppina Smaltini, perché esisterebbe, secondo i denuncianti, un nesso provato di causa ed effetto tra le emissioni dell’Ilva e la leucemia contratta ma la richiesta dei legali è stata respinta perchè “manifestatamente infondata”.
Giuseppina Smaltini aveva denunciato un dirigente dell’acciaieria, sostenendo l’esistenza di un nesso fra la sua malattia e le emissioni inquinanti dell’Ilva, nel 2009 ma una perizia aveva escluso l’esistenza di legami causali fra le emissioni e la malattia e il caso era stato archiviato dalla magistratura tarantina.
La donna ha presentato ricorso contro l’archiviazione in sede europea ma questo stato respinto all’unanimità dai giudici della Corte di Strasburgo: la ricorrente non avrebbe dimostrato che, alla luce delle conoscenze scientifiche disponibili al momento dei fatti, la magistratura italiana abbia ignorato l’obbligo di proteggere il suo diritto alla vita.