La ricerca sui biocarburanti avanzati

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Si fa presto a parlare di biocombustibili e immaginare un futuro in cui vengano utilizzate solo fonti di energia pulita per produrre carburanti sfruttando, per esempio, l’olio di palma o l’olio di colza. Com’è diventato sempre più evidente negli ultimi anni, però, anche l’utilizzo di queste fonti ha parecchie controindicazioni: da una parte, la produzione di queste materie prime per i biocarburanti entra in competizione con il mercato alimentare, il che, sul lungo termine, potrebbe causare un aumento dei prezzi delle fonti fossili e rischiare di causare crisi alimentari; dall’altra, non è scontato che la sostenibilità ambientale promessa si possa mantenere sul medio periodo, visto che le piantagioni necessarie per la produzione di questi biocarburanti contribuiscono in maniera importante alla deforestazione, fenomeno che è tra i principali responsabili dell’aumento mondiale di anidride carbonica.

Problemi a cui è comunque possibile porre rimedio grazie ai biocarburanti di seconda (e adesso anche terza) generazione, che sfruttano metodi più complessi per distillare il carburante, utilizzando però materie prime non commestibili (evitando quindi di entrare in competizione con l’industria alimentare), provenienti da scarti della lavorazione o da biomasse (vale a dire scarti organici) che evitano che si consumino risorse importanti come le foreste per la produzioni di combustibili.

A tutto ciò, in Italia, si sta lavorando nel centro Renewable Energies and Environment di Eni, con sede a Novara. “Nel nostro laboratorio si effettuano fermentazioni partendo da materiale lignocellulosico che possono essere scarti della lavorazione agricola”, spiega la ricercatrice Eni Alessandra D’Arminio. “Mediante la rottura della cellulosa si perviene a una miscela di zuccheri, e con l’utilizzo dei lieviti oleaginosi arriviamo a un olio microbico che viene mandato all’impianto di ecofining che trasforma gli oli vegetali in greendiesel. A differenza dell’olio di palma, questo è un olio di seconda generazione perché non parte da materiale edibile”.

Una delle sperimentazioni più avanzate riguarda invece la possibilità di produrre bio-olio dai rifiuti organici (per la precisione, dalla frazione umida dei rifiuti solidi urbani). Il bio-olio che viene così prodotto si può utilizzare sia come combustibile, sia – in seguito a un successivo stadio di raffinazione – diventare biocarburante da utilizzare direttamente nelle automobili. Quindi: non solo si usa come materia prima una materia di scarto per la quale esiste già una filiera di raccolta, ma si produce un bio-olio con una resa energetica dell’80%, in confronto al 50/60% di valorizzazione dei rifiuti nei biogas e del 10/30% degli inceneritori.

“L’impianto pilota di Novara studia la trasformazione dei rifiuti in bio-olio”, spiega a Blogo il ricercatore Eni Aldo Bosetti. “È una trasformazione che si basa su un processo che si chiama liquefazione che è un’accelerazione di quello che la natura fa in milioni di anni. Solo che noi lo facciamo in poche ore usando l’energia termica e la pressione”.

L’ultima novità, sempre da Eni, è la possibilità di produrre diesel verde di alta qualità nelle raffinerie di Venezia e Gela sfruttando gli scarti dell’olio fritto usato nei ristoranti e nelle mense. Nel mese di maggio è stato infatti firmato l’accordo tra Eni e il Conoe, il Consorzio nazionale di di raccolta e trattamento degli oli esausti, che si impegna a fornire tutto l’olio esausto raccolto dalle sue aziende, per alimentare la bioraffineria di Venezia (riconvertita nel 2014) e quella di Gela, che sarà riconvertita l’anno prossimo. Il green diesel che così verrà prodotto, costituirà il 15% del carburante diesel premium di Eni.

Andrea S.

Messa in tasca la laurea in Comunicazione Politica alla Statale, ho iniziato a lavorare saltando da un posto all'altro nelle veci di giornalista, redattore, editor, web-editor, blogger: l'importante è che abbia a che fare con la parola scritta.

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