
Addio per sempre PFAS nell'acqua - ecoblog.it
Un filtro realizzato dal CNR e dall’azienda Medica promette di eliminare i PFAS dalle acque potabili. Funziona grazie al grafene e si integra facilmente nei sistemi industriali.
La presenza di PFAS nelle acque potabili è diventata uno dei problemi ambientali più pressanti, in Italia e fuori. Queste sostanze, usate per anni in prodotti industriali e di largo consumo come rivestimenti antiaderenti o tessuti impermeabili, si distinguono per una caratteristica pericolosa: non si degradano facilmente. Vengono chiamate “inquinanti eterni” proprio per questo. Resistono alla luce, al calore, ai microrganismi. E finiscono, col tempo, a contaminare falde acquifere e bacini che riforniscono migliaia di abitazioni.
Nel nostro paese, diverse analisi hanno documentato livelli preoccupanti di PFAS nelle acque potabili. Tra le indagini più recenti, quella condotta da Greenpeace ha suscitato particolare allarme: molti acquedotti italiani superano le soglie raccomandate da organismi internazionali. Il rischio per la salute è noto da tempo: problemi endocrini, immunitari, aumento di alcune forme tumorali. Tutto confermato da studi scientifici solidi. Ecco perché è urgente trovare soluzioni praticabili e rapide per filtrare queste sostanze prima che raggiungano i rubinetti.
Ricerca italiana: un filtro al grafene contro PFAS e altri contaminanti
Un gruppo di ricerca del Consiglio Nazionale delle Ricerche, con sede a Bologna, ha sviluppato un nuovo filtro per l’acqua in grado di eliminare i PFAS in modo efficace. Il lavoro, svolto in collaborazione con Medica S.p.A., è frutto del progetto europeo GRAPHIL. La tecnologia sfrutta una membrana composta da ossido di grafene e polisulfone, capace di trattenere non solo i PFAS, ma anche altri contaminanti difficili da rimuovere, come antibiotici e metalli pesanti.
I test pubblicati sulla rivista Nature Water dimostrano che il filtro supera le prestazioni di molti prodotti già in commercio, mantenendo un costo contenuto e una struttura facilmente integrabile negli impianti esistenti. Questo punto è cruciale: il filtro non richiede nuove infrastrutture, può essere montato nei sistemi già attivi, con spese minime per enti pubblici o aziende private.

Tra gli aspetti rilevanti, c’è la quantità limitata di grafene necessaria per ogni filtro. Questo permette una produzione su larga scala sostenibile anche dal punto di vista economico. I ricercatori hanno verificato anche la durata del dispositivo, che mantiene le proprie funzioni filtranti per lunghi cicli di utilizzo, riducendo così anche i costi di manutenzione.
Il filtro è già pronto per la produzione industriale, e Medica S.p.A. stima di poter fabbricare migliaia di unità all’anno. Secondo gli autori del progetto, si tratta di un passaggio concreto verso una maggiore sicurezza delle acque potabili. La tecnologia sarà proposta anche a livello europeo, per l’inserimento nei protocolli ufficiali di trattamento delle acque.
Impatto reale sulla salute pubblica e sulla gestione ambientale
Il progetto non nasce in laboratorio in modo astratto. Parte da un’esigenza reale: rimettere al centro la salute pubblica, partendo da un bene essenziale come l’acqua. Lo ha ricordato anche Vincenzo Palermo, direttore dell’Istituto per la sintesi organica e fotoreattività del CNR e tra i firmatari dello studio. La ricerca, spiega, è stata condotta con un approccio pragmatico, pensato fin dall’inizio per offrire una soluzione immediatamente applicabile.
La novità del filtro, ha spiegato Palermo, sta proprio nella sua adattabilità ai contesti esistenti. Non serve cambiare l’intero impianto. Basta sostituire il modulo filtrante. Questo consente un’adozione rapida anche nei territori più colpiti, dove l’urgenza è massima. Il sistema può diventare un modello replicabile a livello globale.
Il problema dei contaminanti emergenti — non solo PFAS, ma anche pesticidi, microplastiche, residui di farmaci — riguarda ormai gran parte dei corsi d’acqua europei. E il ritardo normativo su molte di queste sostanze rende complicata l’azione pubblica. Interventi tecnologici come quello del CNR possono colmare il vuoto, offrendo strumenti efficaci prima ancora delle regolamentazioni.
Dal punto di vista ambientale, si apre anche una riflessione più ampia. Molti degli inquinanti presenti nell’acqua non si vedono e non si misurano facilmente, ma hanno effetti a lungo termine sull’organismo e sugli equilibri naturali. Il filtro al grafene non elimina il problema a monte, ma può rappresentare un argine concreto alla diffusione di sostanze tossiche nell’ambiente domestico.
Oggi, mentre si discute a livello istituzionale su nuovi limiti europei per i PFAS, l’Italia mostra di poter dare risposte tecniche e applicabili. È un esempio di come scienza e industria, se messe in sinergia, possono fornire risposte tangibili alle emergenze ambientali. Un progetto che potrà fare scuola.