
Scoperto batterio che mangia i PFAS - ecoblog.it
Scoperti batteri in grado di degradare i PFAS, sostanze chimiche persistenti nell’ambiente. Il risultato apre nuove possibilità per la bonifica dei suoli contaminati.
In uno dei campi più critici dell’ecologia applicata, la microbiologia ambientale, un gruppo di ricerca dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, sede di Piacenza, ha isolato batteri in grado di degradare i PFAS, noti anche come “inquinanti eterni”. La scoperta riguarda ceppi coltivati da suolo contaminato e rappresenta un passaggio rilevante per lo sviluppo di tecniche di bonifica sostenibili in aree colpite da contaminazione chimica.
Batteri selezionati dai terreni contaminati nel Veneto: come funzionano
Lo studio nasce in collaborazione con l’Università di Padova, dove i ricercatori hanno lavorato su campioni di suolo provenienti da Vicenza e Padova, due delle province italiane maggiormente interessate dalla presenza di PFAS. Queste sostanze per- e polifluoroalchiliche, impiegate in centinaia di prodotti di uso comune, sono famose per la loro resistenza chimica, dovuta alla solidità del legame tra carbonio e fluoro.

I ricercatori, coordinati dal professor Edoardo Puglisi, hanno avviato un processo di “arricchimento”, mettendo i batteri in condizione di usare esclusivamente i PFAS come fonte di carbonio. Dopo settimane di coltura controllata, sono stati isolati circa 20 ceppi che hanno mostrato la capacità di metabolizzare i composti fluorurati. I generi batterici identificati comprendono Micrococcus, Rhodanobacter, Pseudoxanthomonas e Achromobacter. Secondo i primi test, alcuni ceppi riescono a degradare i PFAS con un’efficienza superiore al 30%, dato mai raggiunto prima in esperimenti simili.
Il team ha già effettuato il sequenziamento genomico completo dei ceppi più promettenti, per identificare quali enzimi e percorsi metabolici siano responsabili della scomposizione delle molecole. Gli studi sono stati presentati durante il 35° meeting annuale della SETAC, società scientifica che riunisce esperti in chimica e tossicologia ambientale.
Applicazioni future, test su larga scala e sicurezza per l’ambiente
Uno degli aspetti più rilevanti è che i microrganismi isolati non risultano patogeni e sono facilmente riproducibili in laboratorio, condizioni essenziali per un futuro impiego nelle bonifiche in situ. Le prove in vaso già avviate, che simulano condizioni reali di suolo contaminato, serviranno a verificare se l’efficienza di laboratorio può essere mantenuta anche in contesti ambientali complessi.
L’obiettivo è duplice: da un lato capire come potenziare naturalmente questi batteri, dall’altro avviare la produzione controllata di inoculi biologici per trattamenti mirati. I PFAS, presenti in imballaggi, cosmetici, utensili da cucina e tessuti tecnici, sono oggi considerati tra i contaminanti più persistenti e difficili da eliminare. La loro capacità di accumularsi nei corpi idrici e nel sangue umano rappresenta un’emergenza sanitaria riconosciuta a livello internazionale.
Il contributo italiano alla ricerca microbiologica su questi inquinanti dimostra che l’integrazione tra metodi classici e tecnologie genomiche può aprire nuove prospettive nella gestione delle crisi ambientali. Se confermati su scala maggiore, i risultati di Piacenza potrebbero portare a interventi di bonifica localizzata, meno invasivi e più sostenibili dei trattamenti chimico-fisici attualmente in uso.
La ricerca prosegue con l’obiettivo di estendere la sperimentazione ad altri tipi di PFAS, cercando una soluzione efficace anche per i composti più resistenti. In uno scenario globale dove le alternative sono ancora poche e costose, questa scoperta rappresenta un punto di partenza concreto, capace di influenzare le strategie di risanamento ambientale nei prossimi anni.