
Il calcestruzzo romano: un modello di sostenibilità antica?(www.ecoblog.it)
Nel cuore della città eterna, c’é una cupola risalente a duemila anni fa che continua a suscitare ammirazione per la sua resistenza.
Questa incredibile longevità solleva domande fondamentali: come riuscivano i Romani a produrre un calcestruzzo così resistente? E soprattutto, è possibile replicare oggi quel materiale in modo sostenibile per contribuire alla riduzione delle emissioni di CO₂ provocate dall’edilizia moderna?
Il cemento è oggi un elemento cruciale per le infrastrutture globali, ma la sua produzione è responsabile di circa l’8% delle emissioni mondiali di anidride carbonica. In questo contesto, la ricerca scientifica si è recentemente concentrata sul confronto tra il calcestruzzo dell’Antica Roma e quello moderno, per verificarne l’impatto ambientale e la durabilità.
Il Pantheon, insieme agli antichi acquedotti e porti romani, testimonia la capacità dell’Impero di realizzare opere capaci di resistere a secoli di intemperie e sollecitazioni meccaniche, un primato che il cemento contemporaneo fatica a eguagliare. I Romani utilizzavano una miscela a base di calcare riscaldato a temperature relativamente basse (circa 900°C), mescolato con acqua e pozzolana, una cenere vulcanica che rappresentava il segreto della loro formula. Questa tecnica attivava una reazione chimica che generava un legante estremamente stabile e durevole.
Al contrario, il cemento moderno, detto Portland, richiede temperature di cottura molto più elevate, intorno ai 1.450°C, con un conseguente maggiore consumo energetico e maggiori emissioni di gas serra.
Analisi scientifica tra antico e moderno: un bilancio ambientale complesso
Uno studio recente guidato dall’ingegnera Daniela Martinez della Universidad del Norte in Colombia ha condotto un’analisi approfondita, modellando il consumo energetico, il consumo d’acqua e le emissioni di CO₂ necessarie per produrre vari tipi di cemento romano utilizzando tecnologie sia antiche che moderne.
I risultati hanno rivelato che, anche utilizzando metodi produttivi attuali, il cemento romano produce emissioni di CO₂ simili o in alcuni casi superiori rispetto al cemento Portland per metro cubo. Tuttavia, il metodo romano si distingue per una significativa riduzione degli inquinanti atmosferici come ossidi di azoto e zolfo, nocivi per la salute respiratoria, con una diminuzione variabile fra l’11% e il 98% a seconda della fonte energetica impiegata.
Questo dato suggerisce che, sebbene il calcestruzzo romano non sia necessariamente un’opzione “verde” sotto il profilo delle emissioni di CO₂, il suo processo di produzione può contribuire a migliorare la qualità dell’aria, un aspetto non trascurabile per la progettazione di infrastrutture più sostenibili.

La vera eccellenza del calcestruzzo romano risiede nella sua incredibile durata nel tempo. Le costruzioni moderne, spesso soggette a corrosione e degrado delle armature in acciaio, devono affrontare frequenti interventi di manutenzione o sostituzioni dopo pochi decenni. Al contrario, le opere romane, come il Pantheon, sono ancora oggi in piedi dopo millenni.
Una delle differenze strutturali principali è che i Romani non utilizzavano armature in acciaio, che nelle costruzioni moderne sono invece fondamentali ma vulnerabili alla corrosione, uno dei principali fattori di deterioramento del calcestruzzo contemporaneo. Secondo l’ingegnere Paulo Monteiro dell’Università della California a Berkeley, il confronto tra le due tecnologie deve considerare anche le diverse sollecitazioni a cui sono sottoposte le infrastrutture odierne rispetto a quelle antiche.
Lo studio suggerisce che il calcestruzzo romano potrebbe diventare ambientale sostenibile solo se la sua durata superasse di almeno il 29% e fino al 97% quella del cemento moderno in applicazioni come ponti e strade. Vista la durabilità dimostrata da alcune opere antiche, questo traguardo appare raggiungibile, anche se non scontato.
L’ingegnera Martinez sottolinea come il vero valore del calcestruzzo romano non risieda esclusivamente nella formula chimica, ma nella cultura costruttiva che promuove la permanenza e la costruzione di edifici pensati per durare secoli, anziché decenni.

Oggi la sfida per un’edilizia sostenibile non è tanto quella di replicare pedissequamente il cemento romano, quanto di integrare la sua filosofia di durabilità con le tecnologie moderne. Investire in materiali a lunga durata, ridurre la necessità di manutenzione e sostituzione, e ottimizzare le fonti energetiche nella produzione sono passi fondamentali per ridurre l’impatto ambientale del settore.
In questo senso, il patrimonio edilizio romano rappresenta un modello ispiratore da cui trarre spunto, ma il futuro del calcestruzzo sostenibile passa inevitabilmente attraverso innovazioni tecnologiche e un approccio più consapevole alla progettazione delle infrastrutture.