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Uno studio lancia l’allarme: scrub, dentifrici e cosmetici rilasciano microgranuli che invadono oceani e catene alimentari. Gli effetti su ambiente e salute restano incerti ma preoccupanti.
Ogni anno, senza rendercene conto, milioni di persone riversano negli scarichi quintali di microplastiche. Piccolissime particelle che finiscono in mare, si accumulano negli ecosistemi e arrivano fino ai nostri piatti. Non si tratta di un problema marginale. L’Environmental Audit Committee del Regno Unito ha richiamato l’attenzione dei consumatori sull’impatto dei microgranuli contenuti nei cosmetici, dagli scrub ai dentifrici, invitando i governi a intervenire.
Cosa sono le microplastiche e da dove arrivano
Le microplastiche sono frammenti più piccoli di 5 millimetri. Vengono prodotte intenzionalmente, per esempio nei prodotti per la cura personale, oppure generate dalla rottura di plastiche più grandi già presenti in mare. Secondo le stime, tra 80.000 e 219.000 tonnellate di microplastiche finiscono ogni anno nei mari europei. La loro presenza negli oceani è ormai massiccia: i ricercatori calcolano che si siano accumulate fino a 236 mila tonnellate di particelle. Le differenze nelle stime derivano da modelli ancora incompleti e dalla scarsità di dati globali. Nonostante l’incertezza, la quantità resta enorme e in continua crescita.

La caratteristica che rende le microplastiche particolarmente insidiose è la loro facile ingestione da parte della fauna marina. Ostriche, cozze, granchi e persino lo zooplancton possono accumularle nello stomaco. Alcune ricerche hanno dimostrato che mangiare sei ostriche equivale a ingerire circa 50 particelle di plastica. Anche gli uccelli marini scambiano i pellet per uova di pesce e li trattengono per mesi nello stomaco, con effetti devastanti su peso e nutrizione. Ad oggi, più di 280 specie marine risultano esposte, molte delle quali ricoprono un ruolo centrale nelle catene alimentari. Non è un dettaglio: il rischio riguarda non solo la biodiversità ma anche la stabilità degli ecosistemi costieri e oceanici.
Impatti su salute umana ed economia
Gli effetti delle microplastiche sulla salute sono ancora oggetto di studio. Non si sa con certezza se, una volta ingerite attraverso alimenti contaminati, possano attraversare la parete intestinale ed entrare nei tessuti umani. Alcuni studi condotti dal DEFRA hanno dimostrato che particelle più piccole, le cosiddette nanoplastiche, sono in grado di penetrare le membrane cellulari e depositarsi nei tessuti biologici. Questo apre scenari preoccupanti, soprattutto perché molte plastiche contengono additivi tossici. La capacità delle microplastiche di assorbire sostanze chimiche dall’ambiente marino accresce i rischi: possono diventare vettori di contaminanti e agenti patogeni come il ceppo Vibrio, con possibili ripercussioni sulla fauna selvatica e, indirettamente, sull’uomo.
Il settore della pesca e dell’acquacoltura potrebbe subire danni economici significativi. I frutti di mare contaminati sono già una realtà documentata. Le cozze del Mare del Nord, ad esempio, contengono microplastiche rilevabili in laboratorio. Un singolo pasto può esporre i consumatori a decine di particelle. Gli effetti a lungo termine restano incerti, ma l’ipotesi di un rischio sanitario non può essere esclusa. Secondo gli esperti, una sola doccia con prodotti contenenti microgranuli può rilasciare fino a 100.000 particelle di plastica nelle fognature. Nel Regno Unito si calcola che vengano utilizzate circa 680 tonnellate di microsfere all’anno, molte delle quali finiscono inevitabilmente in mare. Le industrie cosmetiche hanno a disposizione alternative naturali e meno impattanti, ma l’etichettatura dei prodotti resta poco chiara e i consumatori spesso non hanno strumenti per capire se un cosmetico contenga microplastiche. Per questo motivo, enti ambientali come Fidra chiedono leggi più severe e obblighi trasparenti di indicazione sugli imballaggi.