La proroga delle concessioni e le polemiche politiche(www.ecoblog.it)
Nel dibattito del energia, un tema cruciale riguarda la possibilità di scegliere lo Stato come fornitore per abbassare i prezzi.
L’ultima Legge di bilancio ha introdotto un piano che proroga per vent’anni le concessioni sulla distribuzione elettrica al dettaglio, ma senza prevedere gare pubbliche, una decisione che sta suscitando forti critiche e preoccupazioni da più parti.
L’Italia paga attualmente fra le bollette elettriche più care al mondo, e questa situazione non è imputabile solo ai fattori esterni come la guerra in Ucraina o le condizioni climatiche in Europa. Come evidenziato da Roberto Marcato e Giampaolo Bottacin, assessori rispettivamente allo Sviluppo Economico e all’Ambiente della Regione Veneto, la causa risiede anche nelle scelte interne, tra cui la proroga senza gara delle concessioni per la distribuzione elettrica.
Questa decisione, inserita in extremis nella Legge di bilancio, consente agli attuali concessionari di mantenere il controllo su un business da circa 15 miliardi di euro all’anno, con margini operativi di 7-8 miliardi annui, senza dover competere con nuovi operatori. La mancata apertura a gare pubbliche è stata criticata da esponenti del centrodestra locale, come i leghisti veneti, che auspicavano una gestione più autonoma e territoriale dell’erogazione dell’energia.
Un altro esponente di spicco che ha espresso riserve è Vincenzo Colla, assessore allo Sviluppo Economico in Emilia-Romagna ed esponente di spicco della CGIL. Anche diversi industriali, specie nei settori in cui il costo dell’energia rappresenta una voce di spesa significativa, manifestano preoccupazioni per gli effetti che questa scelta potrebbe avere sui bilanci aziendali.
L’impatto sui costi in bolletta: il nuovo meccanismo degli investimenti
Il cuore della controversia riguarda la modalità con cui i costi degli investimenti necessari per modernizzare la rete elettrica vengono trasferiti direttamente ai consumatori attraverso la bolletta. Nel nuovo emendamento, il canone che i concessionari devono versare per la proroga viene considerato a tutti gli effetti un investimento, il cui costo viene automaticamente scaricato sulle famiglie e sulle imprese.
Inoltre, il tasso di interesse applicato a questi investimenti per il periodo 2025-2027 è stato fissato dall’Autorità di Regolazione per Energia Reti e Ambiente (Arera) al 5,6%, un livello considerato alto rispetto ai rischi e alla natura regolamentata del settore, che si traduce in un aumento ulteriore delle tariffe. Il tasso è stato recentemente ridotto solo marginalmente, mentre la Banca Centrale Europea ha continuato a diminuire il costo del denaro, aumentando così il divario a svantaggio dei consumatori.
Questo meccanismo crea un paradosso: pur essendo un’attività a basso rischio e regolata, i concessionari possono scaricare sui clienti costi finanziari elevati, contribuendo così a mantenere alto il prezzo finale dell’energia.

Va riconosciuto che la rete elettrica italiana è fra le più avanzate in Europa, con importanti investimenti effettuati negli ultimi anni, come l’introduzione dei contatori elettronici. Inoltre, il settore necessita effettivamente di risorse per integrare le fonti rinnovabili, garantire la sicurezza e la cyber-sicurezza, e rispondere alle crescenti esigenze di un mercato sempre più complesso.
Tuttavia, la proroga senza gara di queste concessioni blocca la concorrenza, escludendo la possibilità che altri operatori offrano condizioni migliori o investimenti più efficienti. Analogamente, nel settore dell’energia idroelettrica, che copre circa il 17% del fabbisogno nazionale, si sta assistendo alla richiesta di rinnovi molto lunghi senza gare, con la politica che sembra incline a mantenere questo sistema chiuso, anche a costo di rinunciare a parte dei fondi europei previsti dal Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (Pnrr).
Oltre alla questione concorrenziale, va sottolineato come alcuni concessionari idroelettrici riversino parte dei loro utili alle regioni di appartenenza, finanziando servizi pubblici come welfare e sanità. Ciò non toglie che l’assenza di competizione possa limitare i benefici per i consumatori finali, sia in termini di prezzi più bassi che di maggiore efficienza.
