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Ambiente urbano e degrado, quando i manifesti abusivi coprono le città

I manifesti abusivi che compaiono durante le campagne elettorali sono una brutta abitudine dura a morire: pagati con soldi provenienti dal finanziamento pubblico ai partiti (quel finanziamento che andrebbe cancellato con una bella riga nera ma che fa ancora mostra di se tra le leggi dello Stato), i manifesti abusivi sono emblematicamente il simbolo del non-decoro di una classe politica ormai allo stremo.

Occorre pensare che la tutela dell’ambiente urbano non è un concetto molto dissimile dalla quella del territorio nelle aree non urbane: i luoghi che milioni di persone vivono, tutti i giorni, non sono i boschi, i parchi naturali, le riserve, bensì le città. Il mantenimento della pulizia, del decoro, la tutela degli ambienti naturali e urbanistici nei centri urbani è, in tal senso, molto poco affrontato ma decisamente importante (non meno importante della raccolta differenziata, della mobilità urbana, dell’inquinamento).

I periodi di campagna elettorale sono, in materia di decoro urbano, quelli più bui quando invece dovrebbero rappresentare un momento di raccolta di idee, contenuti, esempi da portare avanti una volta eletti: i manifesti abusivi, di cui tutti (ma proprio tutti) fanno larghissimo uso, sono il peggiore esempio di come le città non dovrebbero essere, di come non si protegge l’ambiente urbano.

Ad ogni tornata elettorale è sempre la solita solfa: promesse, sconfessioni ed autoassoluzioni. Roma in tal senso è una realtà emblematica: in campagna elettorale permanente ormai da svariati mesi (tra regionali, politiche, comunali e provinciali) negli ultimi sei mesi il decoro urbano della Capitale è crollato, nascosto dietro centinaia di metri di manifesti abusivi di ogni colore e forma; persino Papa Francesco è finito su alcuni manifesti abusivi (siglati con il logo di Roma Capitale), attacchinati laddove non si dovrebbe (fuori dagli spazi consentiti).

Uno scempio continuo che tuttavia non è mai materia di campagna elettorale: eppure come si può legittimare una candidatura politica a sindaco di qualcuno che fa campagna elettorale esponendo la sua faccia dove non dovrebbe? Come può essere credibile chi rivendica nella sua candidatura una novità rispetto al passato, quando i comportamenti sui muri delle città sono identici nei secoli dei secoli?

Roma oggi è un vero e proprio “muro di colla”, una “lasagna urbana”, anche se per la prima volta la polemica è entrata nei partiti politici i quali, Radicali a parte (che da sempre denunciano questa pratica incivile), finalmente cominciano a discuterne.

Grazie al lavoro anche di blog come Cartellopoli e RomaFaSchifo, oltre che alle continue denunce dei Radicali Roma, il tema abusivismo elettorale potrebbe entrare prepotentemente in questa corsa a sindaco di Roma. I nostri colleghi di 06blog già da tempo denunciano questo scempio irrispettoso dell’ambiente urbano e della stessa storia della città di Roma.

E’ il caso ad esempio della candidatura dell’ex giornalista e parlamentare europeo in carica David Sassoli, candidato alle primarie del Pd per la corsa al Campidoglio.

Il volto di Sassoli, piuttosto famoso dopo anni di Tg1, campeggia oggi in ogni dove nella città di Roma: sulle paratie dei cantieri, negli spazi comunali, sui muri dei cinquecenteschi palazzi del centro, sui bidoni dell’immondizia, sotto i ponti, insomma ovunque.

Una condotta disdicevole per chiunque si proponga come novità assoluta, come rivoluzione rispetto al recente trascorso (che pure, sul tema manifesti abusivi, non ha brillato). Ci era cascato anche Matteo Renzi, ai tempi delle primarie, ma aveva avuto il buon gusto di scusarsi con i romani e pagare la multa, piuttosto che trovare scusanti pilatesche del tipo:

Chiederemo conto dei manifesti fuori posto.

come twittato dal Comitato elettorale Sassoli sindaco. La lentezza con cui il Comune di Roma ha assegnato gli spazi non ha inoltre aiutato il rispetto della legalità e del decoro urbano, in quanto in mancanza di indicazioni i candidati (e le aziende che attaccano i manifesti) hanno fatto semplicemente di testa loro: una burocrazia criminogena complice di questo scempio.

Eppure il 29 gennaio scorso tutti i rappresentanti di lista, con i vertici del Comune di Roma, della Prefettura e dei Vigili Urbani, avevano siglato un protocollo d’intesa che li impegnava (guarda un po’ se bisogna firmare un impegno in tal senso) a rispettare semplicemente quelle regole che stavano già violando da settimane: affiggere i manifesti approvati e solo negli spazi consentiti, pena una multa da 103 a 1032 euro a manifesto (dopo la depenalizzazione del reato, nel 1993, che prevedeva il carcere).

Facendo due calcoli per farvi arrabbiare possiamo sostenere che: la perdita di incasso del Comune di Roma, che non vede introiti dai manifesti abusivi (i diritti di affissione vanno da 3,5 a 10€ per una settimana) si attesta attorno ai 400.000 euro l’anno. Fuori dalla campagna elettorale i Radicali hanno calcolato che le sanzioni, se fatte pagare una volta a settimana, farebbero incassare al comune altri 2 milioni al mese: il servizio affissioni del Comune di Roma, nonostante la città sia tappezzata di manifesti, è infatti in deficit costante.

Questa indagine, prendetevi un attimo per leggerla, ne vale la pena, è un monumento all’irresponsabilità.

In passato i partiti, nonostante siano stati multati ad ogni tornata elettorale, si sono sempre visti condonare le multe (l’ultima volta nel decreto Milleproroghe del dicembre 2011): milioni di euro di denari che al Comune di Roma certamente non avrebbero fatto male, visto il bilancio color rosso pompeiano e le crescenti difficoltà di amministrazione finanziaria.

Quello dei manifesti abusivi è un comportamento emblematico sul quale occorrerebbe riflettere: Sassoli a parte, nome usato a titolo di pretesto per far emergere il mare magnum di illeciti cui tutto lo scibile politico si è reso responsabile, come è pensabile mettere la faccia invocando decoro, decenza e cambi di rotta, quando poi i comportamenti sono sempre gli stessi, gattopardianamente parlando?

Foto | 06blog

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