La Giornata mondiale della Terra 2013 è l’occasione per ricordare a tutti il rispetto che si deve alla medesima, specialmente a noi occidentali e sedicenti Paesi sviluppati che abbiamo ribaltato il concetto di appartenenza delle (sagge) religioni primitive, per le quali è l’uomo ad appartenere alla Terra e non il contrario.
L’agricoltura è un settore strategico, Carlin Petrini, anima di Slow Food, lo ha ribadito per l’ennesima volta in un suo intervento su Repubblica di qualche giorno fa:
Ovunque si vada, la terra oggi è un problema. Risorsa di cui c’è gran fame. Su cui ci si scontra per come usarla: spremerla come un limone o farla fruttare in maniera rispettosa. Anche in Italia è elemento critico: gli affitti sono sempre più cari per la grande domanda da parte dell’agro-industria, un giovane che voglia tornare alla terra fa una fatica immane a permetterselo, tra prezzi insostenibili, poca disponibilità di terreni liberi, trafile burocratiche al limite del kafkiano.
La cementificazione, in Italia, nonostante la crisi, viaggia a 8 mq al secondo, con scelte che sono irreversibili: dove viene posato il cemento il terreno sarà infertile per mille anni. La fame crescente di terra si scontra con l’aumento degli affitti e i labirinti della burocrazia che ostacolano l’iniziativa di chi vuole coltivarla. Secondo Petrini:
La Terra produce, per questo fa gola. Ma non produce soltanto cibo. Per restare in Italia, o se volete in Europa, produce bellezza, esistenze felici, paesaggi con un immenso potenziale turistico e produttivo. Diamo fiducia a chi vuole tornare a coltivarla, curarla, amarla in virtù di un rapporto più stretto e simbiotico di quello che ha la media di ognuno di noi. Sì, perché è inaudito che si continui a fare finta di nulla di fronte allo scempio che sta subendo il nostro Paese. Accade a un ritmo esponenziale, folle, si consuma suolo fertile, si cementifica, si deturpa il paesaggio e si pregiudicano tutti i valori, materiali e immateriali di cui la terra, bene comune, è portatrice.
I frutti della terra e le attrattive turistiche non sono l’unica ricchezza della Terra. Secondo la Confederazione Italiana Agricoltori (CIA) se verranno rispettati gli obiettivi europei, entro il 2020 il 45% delle rinnovabili verrà dalla rivalutazione energetica degli scarti di campi e stalle. Le biomasse e i biogas sono un’opportunità per riconvertire i rifiuti in energia. Il vantaggio sarebbe doppio: 20 miliardi di euro annui in meno di costi e 240 milioni di tonnellate in meno di Co2 nell’aria.
Utopia? Pare proprio di no: materiali che andrebbero smaltiti con pesanti oneri economici e non pochi problemi logistici diventano una risorsa. Dal 2008 a oggi la produzione di energia da biomasse agroforestali è cresciuta del 60% all’anno. Un esempio? La potatura degli uliveti pugliesi è in grado di fornire 700mila tonnellate all’anno di biomassa da trasformare in cippato e pellet, fonti di energia termica con una resa altissima. È bene rifletterci su: tutto l’anno e non soltanto il 22 aprile.
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